Mirafiori, Suv e maglioncini blu

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Quello sottoscritto a Mirafiori non è un accordo sindacale ma un’aberrazione: condizioni pesanti (aumento di turni, riduzione di pause, straordinari obbligati, malattie non pagate, e via così) e cancellazione di diritti sindacali (di voto, di rappresentanza, di sciopero).

Tale aberrazione è stata oggetto di un referendum altrettanto aberrante, perché la domanda posta ai lavoratori non riguardava di fatto i contenuti dell’accordo ma il mantenimento (sì o no?) del posto di lavoro.  Mai lo strumento del referendum dovrebbe essere piegato a un ricatto, è questione di democrazia punto e basta, e non soltanto per la parte “marginale” direttamente coinvolta.

Marginale, così è stata definita da alcuni la realtà lavorativa di Mirafiori. Come se mantenere aree di tutela sindacale nel disastro generale in cui versa il lavoro in Italia (disoccupazione alle stelle, deregolamentazione, lavoro nero, incidenti e morti) sia cosa ormai trascurabile o addirittura da evitarsi.

Il caso Mirafiori rappresenta uno dei tanti esercizi di riduzione della libertà in corso in questo paese. Dopo Mirafiori a chi toccherà?

E sarà il caso di domandarsi, a margine, come sia possibile che la Fiat, da sempre tipico esempio di imprenditoria assisitita, continui a sfruttare fino all’osso vecchi modelli organizzativi e vecchie risorse. Non c’è traccia di coraggio né di innovazione nei tristi maglioncini blu di Marchionne e nella produzione di Suv dalla grandezza inutile, spesso ostentata come simbolo di uno status sociale arrogante, a volte anche malavitoso.

Una rozzezza ottusa avanza, senza particolari sforzi o abilità, e a ogni passo schiaccia qualcosa: l’intelligenza e la dignità umana, la qualità del lavoro, l’ambiente, la convivenza civile. Vogliamo restare a guardare?

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