Mentre muore Tabucchi

In Italia stanno saltando anche le ultime tutele dallo strapotere di pochi arroganti, supponenti e colpevolmente dissociati dai cittadini, che avrebbero invece il dovere di rappresentare. Nel difendere a ogni costo un sistema neoliberista pienamente fallito, ricorrendo a meccanismi autocorrettivi che non ha, seguono una strategia debole e incapace di rinnovamento che condurrà all’implosione.

Sarebbe più semplice dire “fate pure, tanto andrete a schiantarvi” e poi aspettare lo schianto, per raccogliere i cocci e ricostruire. Ma si sa che la storia non va sempre così, e che il prezzo da pagare si inciderà nella carne e nella vita di molti. Inoltre, chi sopravviverà avrà forza e mezzi per rigenerare un paese stremato? Apocalisse e fantascienza tingono dei colori più incerti una realtà già così lacera e allucinata.

Mentre Antonio Tabucchi, scrittore di grande chiarezza di giudizio (così straniera nell’Italia delle tante ambiguità convenienti), muore (all’estero, naturalmente), qui assistiamo al duetto sconcertante di un Presidente del Consiglio che offre il dono del licenziamento “erga omnes” ai poteri che lui rappresenta e di un Presidente della Repubblica che esce pericolosamente dalle sue prerogative per sostenerne il disegno e condizionare, dall’alto della sua carica, tutto il paese: la politica, i sindacati, i cittadini stessi.

Immaginate cosa significherebbe libertà di licenziare (perché al di là della formale motivazione economica di questo sostanzialmente si tratterebbe) nel delicato settore dell’informazione, già così asservito a gruppi interessati al condizionamento delle opinioni, e in quello pubblico, già così influenzato dal sistema dei partiti di cui è emanazione. Confezionare una motivazione economica per allontanare un giornalista non imbavagliato o un dipendente non raccomandato sarà un gioco da ragazzi, come lo sarà per un operaio sindacalizzato o più semplicemente meno disposto a fare turni insostenibili o a chiudere gli occhi sulla sicurezza non garantita.

Dire che l’art. 18 è soltanto un simbolo e che di altro bisognerebbe preoccuparsi (ad esempio della disoccupazione, come se con la libertà di licenziare possano davvero aumentare i posti di lavoro), significa nascondere dietro una mistificazione l’obiettivo vero di un’operazione da portare a termine a tutti i costi: cancellare l’ultimo pezzetto di dignità e tutela che ci era rimasto, perché il ricatto del lavoro diventi uno strumento di controllo ancora più micidiale, e perché la libertà di investire e disinvestire diventi ancora più selvaggia, senza alcun limite o regolazione. Un premio all’imprenditoria e a manager “mordi e fuggi”, cioè ai peggiori, e una garanzia di assoggettamento alla deriva antidemocratica, a sua volta al servizio di una feroce ristrutturazione economico-finanziaria.

Diceva Tabucchi: “La democrazia odierna mostra evidenti ed allarmanti scricchiolii. Ma avete mai sentito la sinistra italiana che si sia messa a ridiscutere seriamente la democrazia? Intendo i concetti portanti della democrazia, ciò che ne è o dovrebbe essere l’essenza: i diritti dei cittadini, le libertà, la distribuzione del potere, la distribuzione dei beni materiali, il diritto al lavoro, il controllo sui singoli e sulle masse…”. Indicava una strada, riferendosi però a una sinistra italiana che non c’è. Chi infatti ne ha detenuto e insieme contrastato il marchio in un’osmosi perfetta è riuscito a distruggerla.

Questo ci insegna che, al di là dei nomi, contano i valori che sanno tradursi in esperienze quotidiane e capillari. I movimenti per l’acqua pubblica e quelli per la difesa dei territori, i tentativi di affrontare crisi e debito in modo nuovo e partecipato, quelli per la difesa del lavoro e della scuola pubblica, dell’ambiente e della salute, della pace e della legalità dovunque, dalle prime linee contro le criminalità associate fino alle opacità dei contesti a noi quotidiani, sono la sinistra italiana? Gli esempi negativi che evoca questa definizione farebbero rispondere di no.

Il punto però è un altro: se ci sarà rinascita in questo paese sarà a partire da queste esperienze, e non certo dai palazzi e dai partiti tradizionali, qualunque nome si diano. Soltanto nella distanza tra paese reale e istituzioni può farsi spazio il cambiamento, incontrando purtroppo ogni tipo di ostacolo, compreso quello dei licenziamenti. Occorre forza e lucidità per resistere, difendendo se non il nome (di quanti nomi ci hanno privato finora?) almeno l’idea di ciò che ci tolgono. Perché è dalla memoria che dipende il futuro, Tabucchi lo sapeva bene.

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