Stanza numero tredici

Avida mangia di nascosto
una prugna dopo cena,
prima pulita sul grembiule a scacchi
con le mani nervose
stessa la scena di bambina ghiotta
che in vergogna trascorre
i desideri,
quanta vita si è persa per rinunce
parte un fruscìo metallico
dallo schermo a colori
nelle notti insonni,
altro il rito delle valvole lunghe
a riscaldarsi:
tutti in attesa di un segnale
dal totem in piedistallo elevato
lascia o raddoppia
bianco e nero
calde le voci nell’ipnosi
così rassicurante
anche la mente divenne stranamente
vorace,
lampi improvvisi al laser
tramortirono il vuoto

ora sei un ragno rattrappito
in un barattolo sterile
e l’occhio che ti osserva è fuori,
fisso senza pietà (1996)

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