In difesa dei cardi

QuasiunabbecedarioE’ uscito postumo per Casagrande un libro di Giorgio Orelli curato da Yari Bernasconi e intitolato “Quasi un abbecedario”.
Sul valore di quel quasi, nel titolo e oltre, si potrebbe discutere a lungo. Orelli stesso ne discute e ricorda che Saba gli suggerì di inserirlo in un suo novenario. Lui seguì il consiglio e quel novenario diventò l’endecasillabo “in quest’alba che quasi non odora”. Quasi è parente del forse, prosegue Orelli, e il forse era per Leopardi la parola più poetica della lingua italiana. Tra il non detto e il dubbio, del quasi e del forse, si gioca parte di un meccanismo poetico che sottrae, sposta, allude.
Che poi il libro sia un vero abbecedario, o quasi, lo si deduce dall’ordinamento alfabetico che mostra, una dietro l’altra, definizioni molto discorsive e personali a partire da nomi comuni e propri. Da Anitra a Walser, l’andamento un po’ rabdomante fa sì che certe lettere non siamo presenti e certe altre, come la C, siano addirittura rappresentate da ben quattro nomi.
Uno di questi è cardi. Dice Orelli: una bella parola, con la prima sillaba dura e la erre implosiva. Appunto, ma per lui il cardo rappresenta quelle sue poesie, in versi o in prosa, scritte “civilmente, eticamente, politicamente”. Dunque poche e minori, per un pregiudizio che, chiamando in causa Dante e Montale, attesta la quasi impossibilità di una poesia dell’impegno.
Segue una quasi rivendicazione dei cardi che qua e là sono scappati anche a lui, anche in libri recenti, e poi una piroetta finale che sublima la sua pulsione quasi fosse una colpa: “I cardi…della val Piumogna. La sera, al tramonto, s’accendono fino a diventare accecanti. Quelli sono i cardi a cui penso, sempre”. Così è pace fatta con la splendida bile oraziana, inconciliabile con la poesia profonda.
Eppure (o forse o quasi, se più poetici) gran parte della nostra esistenza è proprio dentro quei cardi spinosi, nell’inconciliabilità come condizione di un esercizio critico umano e necessario, ben oltre ogni sublimazione e ogni subdola tentazione di canto. E portare quei cardi fin dentro la profondità della poesia è l’unica strada possibile. O forse impossibile, ma comunque bisogna provarla e soprattutto crederci.

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