Una vita per il teatro

La scomparsa di Franco Quadri mi ha fatto ricordare due differenti periodi di studio della mia giovinezza: il primo dedicato alle avanguardie teatrali e il secondo a Jean Genet. In tutti e due incontrai il lavoro di Quadri,  sia critico teatrale sia traduttore. Inoltre, lo lessi a margine di un convegno internazionale dedicato allo scrittore francese, che seguii personalmente e che ancora mi torna alla memoria per l’intensità e la vitalità dei contributi.

Mi capitò anche di intravedere i suoi capelli bianchi in qualche platea, e di fissarli nel mio immaginario come il simbolo di una vita tutta spesa per il teatro e per la sua critica necessaria.

In genere nutro diffidenza per chi raggiunge uno status indiscutibile anche attraverso giornali ricchi, potenti e pericolosamente omologanti (come Repubblica, ad esempio). Eppure quella testa bianca continua a rappresentarmi un modo militante e intransigente di essere dentro le cose, per conoscerle e poi giudicarle con talento e passione per loro stessa natura scomodi (soprattutto nei protettorati della cultura su commissione, controllata e addomesticata dalle poltrone politiche di turno).

Per concludere, poi, molto avrebbero da imparare da Quadri quei giornalisti che pubblicano sui giornali e in Internet articoli e recensioni senza originalità, clonando il primo pezzo che trovano con, al massimo, la fatica personale di qualche taglio. Anche la morte stessa di Quadri sta producendo in questi giorni necrologi del tipo “copia e incolla”, stridenti con lo spessore di un critico autentico e instancabile come lui.

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