Un incubo e un sogno

Per descrivere il disastro dell’Italia non si sa da dove cominciare: annientamento progressivo della struttura dello stato e dei suoi capisaldi istituzionali e costituzionali; negazione sistematica del diritto alla salute, ai beni naturali e culturali, allo studio, al lavoro, all’informazione, alla giustizia, alla partecipazione e alla rappresentanza politica e sindacale; sfruttamento del territorio e delle risorse in un insieme micidiale di logiche colonialiste e secessioniste; garanzia di rappresentanza e di affari alle varie criminalità organizzate. E l’elenco potrebbe continuare per ulteriori specie e sottospecie, ciascuna con i propri infiniti esempi.

Alcuni di noi sono coerentemente fermi al 1992, anno in cui un signore, ineleggibile per palesi incompatibilità e trascorsi, fu abilitato alla politica e alla guida dello stato dalla maggior parte dei partiti e del paese. L’anomalia era già lì, ma riguardava in realtà un fenomeno degenerativo già in atto, di cui quel signore si fece soltanto efficace rappresentante.

Sono passati quasi vent’anni, e quella metastasi si è estesa a tal punto che non si riesce più a distinguere una cellula sana da una non sana, un cittadino o un politico integro da uno che non lo è. Il “sistema” (non quello di cui parla Saviano, ma quello più vasto che, con analogie e coincidenze pesanti, ormai riguarda tutto il corpo malato di questo povero paese) può annetterti o rifiutarti, ma prima ti manipola per autoconservarsi, passando per tv, giornali, consumi, ambienti di lavoro, famiglie, gruppi e organizzazioni, con piccoli e grandi ricatti e imposizioni quasi quotidiane. Resistere è difficilissimo, a volte impossibile.

E ancora, dopo quasi vent’anni, molti pensano che il problema sia quel signore tuttora inamovibile e non l’intero “sistema”, che lo regge insieme a tanti altri signori, un’intera classe politica, organica e inamovibile anch’essa, ormai del tutto contaminata.

La classe politica italiana è incapace di eliminare anche uno solo dei suoi bubboni più evidenti perché ciò significherebbe l’inizio della sua fine, la rinuncia ai suoi privilegi e poi a se stessa, tutta, senza particolari differenze.

Intanto l’incubo continua, dal 1992 e anche da prima, e non si hanno strumenti individuali per fermarlo che vadano oltre la coscienza di sé e del proprio agire quotidiano, tra desiderio di giustizia sociale, onestà, coerenza.

E un sogno che più o meno si ripete così: c’è tanta brava gente di fronte al Parlamento che aspetta l’uscita di tutti quei signori. Poi entra e si chiude dentro, per non farli passare più.

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