Latifondisti del consenso

La maggior parte della stampa è pagata con banconote segnate da interessi economici, finanziari e politici. Basta considerare questo per comprendere il fenomeno diffuso di testate non “di servizio a” ma “al servizio di”, che gestiscono conto terzi parole d’ordine a volte molto nette, a volte composite o sfumate. E più subdole, perché agganciano un maggior numero di lettori e fanno il paio con partiti senza una linea chiara, che cercano di pescare voti in aree di consenso tra loro differenti.

Non è stato il partito del cielo finto a inaugurare la doppiezza, anche mediatica. Esistevano già partiti e testate giornalistiche che andavano a braccetto, mixando opinioni in una strategia omologante molto efficace. Negli anni Novanta gran parte della mutazione era già avvenuta, per responsabilità di chi avrebbe potuto coltivare un’alternativa culturale e politica e non l’ha fatto. E, peggio ancora, ha immobilizzato ogni spinta al cambiamento riconducendo al proprio controllo terreni di pensiero differenti, per occuparli e poi devitalizzarli in una tattica da latifondisti del consenso. Il partito del cielo finto non ha fatto che innestarsi in una terra già educata da altri alla finzione, e il culto della personalità e della menzogna vi è attecchito bene, forte di un’abitudine alla delega e alla fiducia cieca che assomiglia molto a certe palestre di partito e di chiesa.

Non stupisce dunque vedere riapplicato il vecchio schema della cosiddetta responsabilità nazionale, che annulla la poca distanza tra partiti di ex maggioranza ed ex sedicente opposizione, generando un mostro a due teste appoggiato a due stampelle: da un lato quella del peggiore clericalismo e dall’altro quella “liberamente” offerta dalla stampa, che porta a spasso il mostro come fosse normale.

Un mostro così è capace di mangiarsi in un sol colpo firme raccolte per indire referendum ed anche esiti di referendum, movimenti d’opinione e tentativi diffusi di nuovo impegno sociale e civile, indispensabili nel pieno di una profonda crisi dell’economia e dello stato. Come può accordarsi su nuove norme istituzionali senza minimamente confrontarsi con i cittadini.

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La bicicletta: racconto

Aveva quindici anni ma ne dimostrava dieci. Era piccola e magra, coi capelli lunghi, biondi e la pelle chiara. Sembrava convalescente ma dagli occhi cerchiati usciva uno sguardo vivace e dal corpo un’energia senza limiti. Mordeva la vita con voracità e consumava tutto, anche se stessa, ma in quel moto perpetuo cresceva e si rafforzava.
La scelsero perché non c’era scelta, ormai. Pareva una bambina, l’unica di cui il nemico non avrebbe sospettato. In casa fecero una riunione segreta, i familiari e altri che non aveva mai visto. Erano gentili, le dissero che avrebbe svolto un lavoro importante. Doveva entrare nella macchia, lì ci sarebbe stato qualcuno ad aspettarla. Si sarebbero riconosciuti con una parola d’ordine, poi lei avrebbe detto a voce alta un messaggio.
Quale parola d’ordine, quale messaggio? Doveva controllare l’impazienza, non fare mai domande e agire con calma e precisione. Questo le spiegarono, con fermezza e una delicata premura che la stupì. Si sentì protetta, capì che le volevano bene.
Avrebbe ricevuto il messaggio da uno di loro, il più giovane, un ragazzo alto e robusto che le sorrideva come un fratello. Sarebbe arrivato senza preavviso e gliel’avrebbe detto a voce. Lei doveva impararlo a memoria perché scrivere era vietato.
A casa c’era una bicicletta soltanto, quella di suo padre, che faceva venti chilometri al giorno per andare a lavorare oltre la collina. Gliene diedero un’altra, da donna, un po’ grande per lei. Se qualcuno le avesse chiesto avrebbe spiegato che era un regalo dei genitori, utile anche da grande.
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In Grecia e in Italia

Si è mai visto, in tanti anni in Grecia come in Italia, che governi e parlamenti abbiano deciso entità e fini della spesa e del debito pubblico con metodi partecipativi? Si è mai visto definire le scelte finanziarie e bancarie consultando i cittadini? Si è mai visto indire assemblee e referendum per orientare i bilanci degli stati? La risposta è no. E allora perché, dopo decenni di gestione tanto dissennata quanto verticistica, oggi si scaricano la responsabilità della crisi e i sacrifici conseguenti su cittadini estromessi dalle decisioni pubbliche? Fino all’ultima estromissione, che li vede pagare un prezzo insostenibile senza nemmeno capire e poi decidere perché, se e come pagare?

Questo stesso percorso sta accomunando vari stati che, prima dell’adesione, l’Europa ha sottoposto a test di democrazia. Se l’Europa aveva già parametri da deficit democratico, oggi li sta abbandonando del tutto per abbracciare un modello apertamente antidemocratico, dove sono le banche a governare gli stati e non viceversa. Non basta dimostrare sulla carta di avere un Parlamento per essere una vera democrazia:  l’antichissima tradizione greca ci ha insegnato proprio questo,  mentre oggi ci indica i rischi di un Parlamento che espelle da sé qualsiasi voce critica, riducendosi a puro strumento di un esecutivo autonominato. Nessuna analogia con l’Italia?

Qui da noi, intanto, un Governo di tecnici aggredisce a parole i cittadini (vecchi inutili, costosi e responsabili della disoccupazione di giovani sfigati e mammoni), in una strategia colpevolizzatrice e sprezzante da ancien régime. E un Presidente della Repubblica, come se parlasse di due scolarette, dice che l’Italia è più brava della Grecia (perchè più obbediente alle imposizioni europee), negando ogni vocazione solidaristica e internazionalista della politica di cui, vista l’età, almeno dovrebbe avere memoria.

Se lo ricorda il nostro Presidente il regime dei Colonnelli greci? Saprebbe spiegarci quale differenza corre fra un golpe militare e quello dal volto nuovo e glaciale dei tecnocrati? Cosa pensava lui della dittatura del 1967? E di quella camuffata di oggi? Cosa pensa della disobbedienza di una popolazione come quella greca che, allora come oggi, prova a dire con i pochi, poveri mezzi che le sono rimasti che ha una dignità? Cosa pensa dei sindacati che lì scendono in piazza e qui in Italia no, anche per sua esplicita indicazione? E’ questa la democrazia che la nostra Costituzione gli ha assegnato e gli chiede di difendere?

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