Trucchi di parole

Sulla tentazione di ignorare storie di basso profilo stavolta faccio prevalere la necessità di proteggere alcune parole e il loro senso abusato e rovesciato.

In questo paese dove ormai tutto gira al contrario può accadere che il maggiore partito non al governo, a cui dovrebbe spettare l’opposizione e la costruzione di un futuro politico onesto e sinceramente democratico, si ritrovi in mezzo a illeciti e tangenti. Non è la prima volta.

Può anche accadere che, poco dopo una autorizzazione a procedere negata nei confronti di un suo senatore (che rimane dov’è senza battere ciglio) e a ridosso di varie altre recenti accuse, il suo massimo rappresentante si rivolga alla stampa minacciando querele.  Non si assume, cioè, la responsabilità e l’impegno di verificare internamente il comportamento di suoi esponenti di spicco e di risanare ciò che va risanato, negando così per l’ennesima volta la necessità di mettere al centro la questione morale. Non solo, dice più o meno “Perché solo a noi? Guardate cosa fanno gli altri”, usando la stessa argomentazione che userebbe un bambino.

Dulcis in fundo, ipotizza una “class action” a tutela dell’immagine del partito e dei suoi iscritti, superando ogni limite del dicibile per la leggerezza con cui, in un’occasione impropria e immeritevole, invoca uno strumento civilmente evoluto come l’azione collettiva. Questa, semmai, dovrebbe essere pretesa da quanti, tra i suoi iscritti, mai sono stati coinvolti in indagini giudiziarie. O addirittura da tutti i cittadini, qualora dovessero confermarsi i vari reati ipotizzati. In quest’ultimo caso, infatti, davvero risulterebbe colpito un interesse collettivo, per il semplice fatto che gli illeciti in questione riguardano un contesto pubblico e l’esercizio di funzioni pubbliche.

L’episodio manifesta, insieme al palese rovesciamento di ogni regola di buon senso, l’incapacità assoluta di scendere dal piedistallo della politica al di sopra dei cittadini per rimboccarsi le maniche e ricominciare da una posizione di servizio e di trasparenza totale.

Per tornare poi al suo aspetto strettamente comunicativo, nè il ridicolo nè la provocazione sono categorie utili a spiegarlo, anche se l’effetto che ne deriva oscilla pericolosamente dall’uno all’altra: probabile che si tratti di una reazione, nemmeno a caldo ma meditata, e dunque più profondamente connotata, di fronte alla lesa maestà propria e dell’oligarchia rappresentata.

Per concludere sul senso abusato e rovesciato delle parole, un post come questo può essere accusato, ad esempio, di “antipolitica”: brutto neologismo inventato chissà da chi, esso unisce molti esponenti e difensori della attuale e prevalente cattiva politica nel tentativo di liquidare velocemente tutti quelli che desiderano una buona e nuova politica. In altri termini, il primato della politica sarebbe il loro, quello dell’antipolitica (qualunquista, dilettantesca, e chi più ne ha più ne metta) di tutti gli altri.

Prima si erano inventati l’aggettivo “radicale” da aggiungere alla sinistra per distinguere i sinistri e basta (buoni) e i sinistri radicali (cattivi). Ora che un altro fronte di dissenso attivo va crescendo, s’inventano che è “antipolitico”. Siccome modificare la realtà richiede capacità e impegno, preferiscono faticare poco intervenendo sulle parole: o se le inventano o, come nel caso della “class action”, ne forzano vergognosamente il senso.

Questa voce è stata pubblicata in politica e contrassegnata con , , . Contrassegna il permalink.