#GLOBALCHANGE

Oggi 15 ottobre tanti sono in marcia in tutto il mondo per protestare contro chi ha procurato una terribile crisi economica e ora intende farla pagare a chi non ne ha colpa. Dagli Indignados spagnoli ai manifestanti greci fino agli occupanti di Wall Street si va ripetendo lo stesso disconoscimento della politica, dell’economia e della finanza, responsabili del fallimento di un sistema di sviluppo fortemente iniquo che sta spazzando via intere generazioni, togliendo salute, ambiente, istruzione, cultura, lavoro, risorse, democrazia e futuro, alimentando guerre e aggressioni, controllando l’informazione e impedendo l’autodeterminazione delle popolazioni e la difesa dei beni comuni.

In un gioco di scatole cinesi, la crisi italiana (con il suo regime e la sua falsa opposizione, con la democrazia a pezzi, la militarizzazione dei territori e la criminalizzazione dei movimenti) è dentro la crisi dell’Europa che a sua volta è dentro la crisi globale. Uscire da un incastro micidiale come questo con le proprie forze può sembrare impossibile, ma è ancora più impossibile che un aiuto possa venirci proprio da chi ci ha ridotto così. Anzi, la storia insegna che quando l’imbuto si stringe le élites diventano ancora più rapaci. Ora poi è anche peggio, perché non si tratta certo di ridistribuire le risorse rimaste ma di coprire un debito stratosferico, che metterebbe in ginocchio paesi interi, impedendo loro sia di risollevarsi sia di mantenere la propria sovranità.

Anche per questo si stanno elaborando analisi e possibili vie d’uscita in modo del tutto indipendente (es. il giornalista greco Aris Chatzistefanou, autore di Debtocracy, oppure l’Islanda), fuori dalle gerarchie centrali e periferiche di un impero che guarda smemorato le sue macerie e finge strategie salvifiche mentre ci presenta il conto. E se la sua ricetta forse peggiore del male? Se pagare il debito significasse imboccare una strada senza ritorno? Avere dubbi e prudenza è solo questione di buon senso.

Per il resto, speriamo che in questa giornata strade e piazze si riempiano di nuovi linguaggi e nuove alleanze, di lucidità e autocontrollo, perché aggressività e violenza che appartengono innanzitutto  al sistema non siano emulate da chi manifesta.

Bisogna essere altro, nelle idee come nei modi, oggi in piazza e poi da domani nella vita di ciascuno, per un impegno concreto verso il cambiamento: nelle associazioni e nel volontariato, nei luoghi del lavoro e della crisi, in famiglia e negli stili di consumo, nella coerenza di relazioni e scelte fuori da ogni potere e profitto.

Questa voce è stata pubblicata in politica. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *