La vita in una camera a mano

Visti uno dopo l’altro tre film dei fratelli Dardenne (Rosetta, Il figlio e L’enfant) mi è tornato l’amore per la camera a mano che avevo a vent’anni. Allora si parlava di steadicam (sistema che permetteva all’operatore di portare la macchina da presa con il corpo, ammortizzando i propri movimenti per garantire – così pensavo, e la cosa non mi convinceva – un maggior livello di finzione) ma anche di macchine leggerissime da usare direttamente a mano. Di queste credo di aver sentito discutere per la prima volta in riferimento a Herzog e alla sua esperienza molto particolare di documentario (es. La soufrière), così importante anche per alcuni suoi film degli anni successivi.
La macchina a mano, insieme alla “grana grossa” della presa diretta, mi sembravano necessari per portare la realtà dentro il cinema, impedendole di svaporare attraverso qualche trucco tecnico-estetico che ne riducesse l’impatto e la bellezza. In seguito, com’è naturale che sia, la mia esperienza del linguaggio cinematografico si è un po’ ampliata. Nonostante questo, la rigorosa dichiarazione d’amore per la realtà che i Dardenne sparano dritta con una camera a mano mi convince ancora molto.
La loro è una realtà estrema e delicata, intatta e anche per questo aperta alla possibilità umana di cambiamento e riscatto, che trova soltanto dentro se stessa i modi per darsi e insieme raccontarsi, comunicandoci anche una capacità di speranza che diventa tutt’uno con quella di chi fa il film. Perché se è ancora possibile braccarla con l’implacabilità di un divenire altro dalla grande finzione del mercato (e dagli infiniti giochi di specchi che graduavano il lavoro cinematografico dal documentario al film, ora appiattiti in un’unica visione della vita come falso, purtroppo per sua stessa natura), se è ancora possibile stanare un sentimento vero, anche solo in abbozzo, dentro la rappresentazione di una periferia urbana ormai al suo ultimo atto, allora vuol dire che un piccolo grumo di coscienza, o di inizio di coscienza, può nascondersi ovunque, in noi e intorno a noi. Basta solo cercarlo e ricominciare da lì: questo ci dicono i Dardenne, con una camera a mano che morde la vita come un cane randagio, senza uno straccio di effetti o di musica, per farsi sentire meglio.

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