Un balbettìo appena

Finito di leggere “La lucina”, ultimo libro di Antonio Moresco, resta l’eco di un’esperienza immensa che non si sa definire. Qualsiasi approccio produrrebbe imbarazzo e inadeguatezza, per limitatezza e parzialità del confronto. Un balbettìo appena mi permette di dire che si è trattato di un viaggio infinito, non so bene dove ma molto, molto lontano. Da un viaggio così nemmeno si torna indietro, al più si fuoriesce da un punto inaspettato,  non collocabile nello spazio e nel tempo, altro e alterato come il libro stesso: un lavorìo sull’infinito che mette insieme grande e piccolo, alto e basso, dentro e fuori, prima, dopo e oltre, con una naturalezza di esiti, di realtà e di stile, così perfettamente fusi da risultare quasi inquietanti. Non ho memoria di un libro che mi abbia fatto tremare le mani come questo, al pensiero immediato, e poi di pagina in pagina confermato, di avere a che fare con qualcosa di appartenente a quella categoria così arbitraria e netta, così intuitiva ma anche lucida, che molti chiamano capolavoro. Altro non riesco a dire, almeno per ora, se non del fastidio per un’etichetta editoriale e padronale (Mondadori) tra le peggiori. Un vero peccato, e limite di un contenuto che si fa merce, mentre dovrebbe uscire dalle pagine e spargersi come memoria e come voce, nell’aria e ovunque, dalle radici alle foglie, dagli occhi ai corpi. Un libro così dovrebbe ribellarsi al mercato, con atti di sovversione e trasmissione insieme che ne rispettino fino in fondo la totale e salvifica alterità.

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