Sopra una corriera

Nata e vissuta in un pezzetto delle Marche centrali ricordo il mare celeste all’orizzonte e una brutta raffineria, il fiume in mezzo alla campagna lavorata e una manifattura, alcune colline con ulivi e viti e poi due vini unici, uno bianco e uno rosso: verdicchio e lacrima. Bianche e rosse erano anche le terre, controllate dalla chiesa e battute dai comunisti per decenni, senza che i due colori si mescolassero in un rosé imbevibile, privo di gradazione e corpo.

I fumi che si alzavano dai campi in autunno si confondevano con una nebbia morbida che nascondeva tutto: il lavoro dalla casa al negozio, dal trattore alla fabbrica; gli amori, legittimi o sghembi; le passioni del dopo, tra bevute e riunioni. E poi partenze, con la nostalgia sempre appresso, difficile da perdere anche dopo anni.

Noi di quel pezzetto di Marche siamo così, gioviali e timidi, coraggiosi e umili, fedeli al dialetto e ai soprannomi, provinciali sempre, anche nelle metropoli. Fatichiamo a  partire e se partiamo torniamo sempre, fosse anche per poco.

E poi custodiamo parole che sono soprattutto nostre, come “corriera” ad esempio: non autobus o bus, ma corriera. E  in giro ci riconosciamo anche così, da poche parole d’ordine uguali per tutti, scrittori e artisti compresi. Come per la Gang dei fratelli Severini, nati a un passo da casa mia, tra le colline dietro alle mie campagne. Sesto San Giovanni è un loro vecchio brano, sempre buono per questi tempi di sterminio di ciò che resta del lavoro e di un’autenticità legata alle proprie radici, dovunque esse siano:

Primo turno lunedì sei di mattina / Sesto San Giovanni
Billy Bragg che canta nella nebbia / consola i tuoi trent’anni
lontane son le torri di Milano / le sue luci cieche
in fila in tangenziale le promesse / si sentono tradite

La sirena chiama otto ore / così è da una vita
timbri un altro giorno e tiri avanti /senza via d’uscita
i dialetti soffocati / nel regno del rumore
al reparto verniciatura / non passano le ore

E la nebbia che ci assale / ci confonde giorno e sera
sembra tutta una stagione / inverno e primavera
e la nebbia quando sale / tra le braccia della sera
ci fa sentire come dei fantasmi / sopra una corriera

È la fabbrica che ruba e ci divora / i nostri anni migliori
lavorare meno almeno / se non puoi starne fuori
i sogni di mio padre contadino / ora alzano le mani
mio fratello è in galera da dieci anni / ma tornerà domani
E la nebbia che ci assale / ci confonde giorno e sera
sembra tutta una stagione / inverno e primavera
e la nebbia quando sale / tra le braccia della sera
ci fa sentire come dei fantasmi / sopra una corriera

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Veteroblog

Quando ho iniziato a gestire questo blog non sapevo né come sarebbe stato di lì a poco né come sarebbe diventato nel tempo. Forse sembrerà strano, ma l’ho ricevuto come dono di compleanno. Ho subito pensato: invece di un regalo mi è arrivata la fregatura di una scatola vuota, e ora mi tocca pure riempirla. Una sfida o una sfiga? Chissà. Dopo appena  un momento ero già nel dopo, cioè nell’urgenza di dare vita a un modo di comunicare che per me, per abitudine schiva, sapeva di esibizione. Ho riflettuto molto sul narcisismo che può esserci dietro (e neppure tanto dietro, direi) a una forma di esternazione come quella di un blog. Per la verità ancora ci rifletto, ma alla domanda se si possa liberare dal rispecchiamento la propria scrittura (come anche la scelta di immagini, di video o di altre risorse di rete) non so ancora dare risposta.

Per tornare all’inizio, non avevo una linea precisa, sapevo soltanto quello che non volevo fare. Ad esempio, non volevo parlare della mia vita privata e lavorativa. Se l’ho fatto nella biografia, è stato semplicemente per far capire da quale orizzonte muovono certi miei convincimenti, quali radici hanno. Non volevo ospitare chiacchiericci inutili. In questo non ho corso rischi perché il blog, anche se frequentato, ha raccolto finora pochi commenti. Ancora mi chiedo perché, e se lo chiedo agli altri a volte mi sento rispondere che scriverebbero che sono d’accordo ma che poi gli sembra poco. Non volevo imparare troppe cose tecniche. Confesso che un libro su WordPress me lo sono letto ma me lo sono anche dimenticato. Questo spiega una certa rozzezza estetico-comunicativa, per cui ad esempio l’autore dei post si chiama sempre Admin (e chi sarà mai?), la grandezza delle immagini cambia a seconda dell’umore e delle riduzioni in scala (che puntualmente non azzecco) e i ritocchi a pubblicazione avvenuta si lanciano nei canali di aggiornamento come folletti dispettosi. Ciò in cui invece non transigo è nel rispetto, contro ogni “sfrangiatura” modernista, di un rigoroso allineamento a destra. Anche se chi mi legge sa bene che non sono per niente allineata, e men che meno a destra.

Tornando ai non volevo, non volevo correre dietro alle novità, anzi. Parlare di un libro o di un film considerato vecchio dal mercato e dai media mi dà una grande soddisfazione. Come scrivere post brevi, con link rari o citazioni minime. Se non si fosse capito sono per la decrescita, anche nella rete. E poi non volevo esibire virtuosismi classificatori, a suon di tag e categorie, evocando un côté bibliotecario da erre moscia che di solito mi gela il sangue.

Comunque, di fronte a quella scatola vuota che non riuscivo a collocare bene né nello spazio (da dove mi veniva, dal mio provider toscano o da dentro il biancoMac? mistero!) né nel mio tempo (da quando ho il blog cucino meno), ho avuto per un attimo lo spauracchio da pagina bianca, quello che gli scrittori conoscono bene. Indovinate chi mi ha salvato? Marchionne. Sì, proprio lui, che non salverebbe nemmeno l’ultimo esemplare della razza operaia rimasto sulla terra per metterlo tra un dinosauro e la mummia di Ötzi, tanto per fare mecenatismo museale. Ero così arrabbiata per l’accordo di Mirafiori che il primo post è nato così, accompagnato dalla Vincenzina di Jannacci. Roba d’altri tempi. Come quel post del resto, perché Marchionne nel frattempo ha superato anche se stesso.

Ecco, se proprio devo trovargli una definizione, il mio è proprio un veteroblog. Uno strano, impertinente, irriducibile veteroblog.

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Ostro

La nebbia muove un agguato leggero
con la sua luce grigia
uguale ovunque
è un assedio che stringe
da levante a ponente
un rasentare mura
e guadagnare varchi
sfugge la piazza per nitore
di scale e loggiati,
dell’orologio che schiarisce la torre
con un tempo non nostro
perso a intrecciare i passi
con racconti
di scontri altrui,
di altre resistenze e mutamenti

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