Genova, 22 luglio 2001: il sipario si chiude, su Bolzaneto e altri orrori

Ieri si diceva che il 21 luglio 2001 a Genova, nel corso della perquisizione alla scuola Pascoli, era sparita varia documentazione che avrebbe potuto provare le violenze sui manifestanti verificatesi fino a quel giorno.

Il giorno dopo, domenica 22, l’esperienza genovese dei movimenti anti-G8 si chiuse con un bilancio confuso: si tentò di contare i feriti, i fermati e gli arrestati, in un clima di omertà, depistaggio e ostruzionismo. Nonostante tutto, molte aggressioni vennero alla luce attraverso testimonianze e documenti raccolti con ogni mezzo, audio e video, per fortuna scampati al sequestro e alla distruzione delle forze dell’ordine.

Queste ultime, dal canto loro, diedero un’ulteriore dimostrazione di brutalità e devianza operativa anche all’interno della caserma di Bolzaneto, dove s’introducevano numerosi fermati e arrestati, in assenza di assistenza legale e di qualsiasi contatto con l’esterno, facendoli oggetto di sevizie fisiche e psicologiche. I dettagli riferiti, che qui si sceglie di non riportare per rispetto della dignità umana, rievocano l’incubo delle più feroci dittature. Pure l’infermieria divenne teatro di comportamenti definibili “torture” se soltanto in Italia esistesse il reato di tortura. Che andrebbe introdotto in fretta, considerata la crescente impunità di chi per strada, nelle caserme e nelle carceri, invece di garantire l’incolumità di fermati e arrestati, sempre più ne determina la morte con azioni violente e incontrollate.

I manifestanti tradotti a Bolzaneto, come quelli della Diaz, furono poi scarcerati per insussistenza delle accuse, mentre molti dei torturatori vennero condannati in appello.

Amnesty International definirà l’orrore di Genova “la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”.

Eppure tutto era cominciato con un enorme corteo pacifico. Era il 19 luglio, come quattro giorni fa, e sfilavano i migranti: una marea umana di suoni e colori, una grande speranza, una bellissima danza di uguali…

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Genova, 21 luglio 2001: scuola Diaz o mattatoio?

Come si diceva riferendosi ai fatti di Genova fino al 20 luglio 2001, centinaia di procedimenti per lesioni ai manifestanti aperti nei confronti delle forze dell’ordine sarebbero stati poi archiviati per impossibilità di identificare gli autori dei singoli atti. Anche quello per l’uccisione di Carlo Giuliani sarebbe stato archiviato, per uso legittimo di armi e legittima difesa.

Ancora, però, non era finita. Nella notte del 21 luglio forze dell’ordine in tenuta antisommossa fecero irruzione nella scuola Diaz, utilizzata come dormitorio, arrestando tutti i 93 manifestanti presenti e picchiandoli con una violenza tale dal ridurne molti in barella. Oltre sessanta i feriti, tre molto gravi. Una scuola ridotta a mattatoio, sangue dappertutto.

A nessuno dei manifestanti “prelevati” furono comunicati lo stato di arresto e la relativa motivazione. La detenzione di armi, utilizzata a giustificazione di un simile comportamento, si rivelò un bluff: le prove esibite erano in realtà materiali appartenenti a un cantiere della scuola e due molotov introdotte nei locali dalle stesse forze dell’ordine.

Gli arrestati furono presto rilasciati e le accuse nei loro confronti risultarono infondate. I vertici delle forze dell’ordine responsabili dell’arresto e del massacro furono  condannati in appello. Ciò non ha impedito loro avanzamenti di carriera che, collegati ai gravi comportamenti riconosciuti e puniti, attribuiscono una connotazione anche più fosca agli apparati d’ordine in Italia.

La perquisizione nella scuola Pascoli, vicina alla Diaz, fece sparire varia documentazione: raccolta dal servizio legale del Social forum e dal Media center, avrebbe dovuto provare gli episodi di violenza sui manifestanti verificatisi in quei giorni.

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Genova, 20 luglio 2001: morire in piazza a 23 anni, col costume da bagno

Eppure il 19 luglio tutto era cominciato con un enorme corteo pacifico. Sfilavano i migranti: una marea umana di suoni e colori, una grande speranza, una bellissima danza di uguali…

Il 20 luglio si svolsero vari cortei e la gestione dell’ordine pubblico fu così disastrosa da sembrare voluta esattamente in quel modo. Tra atti vandalici ignorati e cariche violente su manifestanti pacifici, blocco delle vie di fuga e provocazioni da parte di infiltrati, la cabina di regia (benedetta in loco da alte cariche dello Stato) decise una mattanza che non risparmiò nessuno: giovani e anziani, aclisti e comunisti, medici, fotografi e giornalisti.

“Quel giorno Carlo era incerto se andare al mare con un amico”, raccontano i genitori di Carlo Giuliani. E invece fu ammazzato in piazza Alimonda a ventitré anni, con ancora addosso il costume da bagno e la rinuncia a una giornata di mare. Scelse di attraversare la sua città stravolta da facciate finte, fioriere posticce, panni stesi aboliti, barriere impenetrabili e negozi serrati, la sua città smembrata, militarizzata e infine percossa con una violenza inaudita. Vide davvero troppo, troppo per la sua età.

L’ingiustizia chiama ribellione, l’offesa uno scatto di dignità, una pistola puntata addosso qualsiasi cosa che possa fermarla: per aver detto “io voglio esistere” Carlo Giuliani fu colpito dai carabinieri, poi schiacciato e rischiacciato dalla loro camionetta e infine, senza ricevere un minimo soccorso, brutalizzato con un sasso per far credere che la sua morte fosse avvenuta per mano amica. Un fotoreporter, per averlo fotografato così, ricevette dalle forze dell’ordine ferite e fratture, la distruzione della macchina fotografica e delle foto. Non si conoscono i responsabili di questo episodio. Centinaia di procedimenti per lesioni aperti nei confronti delle forze dell’ordine sono stati archiviati per impossibilità di identificare gli autori dei singoli atti. Il procedimento per l’uccisione di Carlo Giuliani è stato archiviato per uso legittimo di armi e legittima difesa.

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