Chiarezza e disobbedienza, due virtù

Negli anni Sessanta Lorenzo Milani, da uomo e da prete,  difese l’obiezione di coscienza al servizio militare in risposta a un documento dei cappellani militari che la definivano “un insulto alla patria, estraneo al comandamento cristiano dell’amore ed espressione di viltà”. Gliene derivò un processo per apologia di reato e una condanna in appello, che giunse dopo la sua morte. Le pagine che scrisse più per spiegarsi che per difendersi contengono una tensione morale e parole così nette da costituire una voce inconfondibile e un esempio di retorica autentica, di quelle che non esistono più. Niente reggerebbe al confronto, oggi. Si scrive e si parla per non essere capiti, esercitando sugli altri un potere subdolo, e si evita ogni chiarezza di pensiero e di scelta perché muoversi in zone grigie, aperte a qualsiasi esito, è più conveniente. Una parabola verso l’indistinto ha caratterizzato i modi del vivere e anche la comunicazione, sempre più duttile e tecnicamente efficace nel rendere questa specie limbo in cui ora si galleggia, con stili e gradi di eleganza differenti a seconda delle classi sociali. Che ancora esistono, proprio come ai tempi di Milani, ma che, a differenza di allora, vengono camuffate, mescolate o addirittura negate per non doverne sostenere peso e conflitti.

Oggi, sempre in virtù dell’indistinto, accanto al riconoscimento formale dell’obiezione di coscienza si assiste a missioni di pace militare e a guerre umanitarie, ossimori dalla doppiezza devastante in nome dei quali si continua a uccidere, sprecando addirittura soldi pubblici sottratti alla ricerca, alla scuola, all’assistenza, in molti casi alla sussistenza. E tutto ciò accade perché si obbedisce o, più precisamente, perché non si disobbedisce (per viltà, o più spesso per indifferenza).

Chissà cosa pensava Milani degli ossimori… E cosa penserebbe oggi dell’attitudine comune a quella che definiva “cieca obbedienza”, nel frattempo geneticamente modificata in indifferenza? Forse troverebbe tra i due termini una perfetta sovrapposizione, come quella che unisce sovrani e sudditi di ogni latitudine, negli stati come nelle chiese.

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