L’acqua del Duemila

Ho incontrato Joyce Lussu qualche volta a casa di amici e ho il ricordo nitido di una personalità enorme, che riempiva ogni spazio: antifascista, antimilitarista, ecologista e femminista, scrittrice e traduttrice. Burbera ma generosa soprattutto con i giovani, non perdeva occasione per fare comizi improvvisati contro l’imperialismo, il capitalismo e le scarse vedute di chi li avrebbe dovuti combattere. Proprio in questi giorni mi è capitato tra le mani un suo libro, prezioso come un reperto: L’acqua del Duemila (Mazzotta 1977). Oltre a tutto il resto, vi ho trovato riprodotte alla meglio, per scontata povertà dell’editoria alternativa, due foto struggenti di Mario Giacomelli: la sua campagna marchigiana così simile alla mia, con cui si fonde e confonde per stretta vicinanza.
Acqua e scarse vedute, così avrei potuto intitolare questo post. Quello che più mi colpisce del libro (un’incursione a tutto campo tra i temi a lei più cari, compreso l’internazionalismo dalla Turchia all’Angola per voce di alcuni poeti avventurosamente tradotti: Nazim Hikmet, Agostinho Neto) è infatti l’indice puntato contro scienza e tecnica dell’acqua, quasi inesistenti quando ancora non era merce, e poi sviluppate a sostegno delle attività industriali per volontà del “grande padronato” e per mezzo di esperti asserviti.
Un tema, quello dell’acqua, che secondo la Lussu non era “dei partiti di sinistra e dei sindacati, che pure dispongono di solide organizzazioni, di centri studio ben attrezzati e di schiere di esperti in tutti i settori”, mentre “era legittimo aspettarsi che le forze sorte per salvaguardare gli interessi delle masse si fossero date da fare per analizzare il problema ed elaborare controproposte ragionevoli, stimolando lotte politiche consapevoli e aggiornate”. Intanto “i grossi capitali trattano la questione dell’acqua come quella del petrolio”, promettendo “razionalizzazione”. Infine, la sua domanda cruciale: “Cosa significa razionalizzare per un sistema che mercifica tutto, dalle coscienze all’aria che si respira?”
Se Joyce fosse ancora con noi, oggi avrebbe un travaso di bile nel constatare che la sua preveggenza è stata superata nel peggio: l’acqua sopravviverà al petrolio in estinzione diventando, tra i beni disponibili in natura, la prima merce del secolo. Inoltre partiti e sindacati, invece di studiare un’alternativa pubblica che salvaguardi un bene collettivo necessario alla sopravvivenza, sono più o meno indirettamente azionisti di società interessate alla vendita e non alla condivisione. Se ancora potessi scherzare con Joyce, a lei che odiava le divise direi che nel nostro futuro luminoso vedo partiti e sindacati vestiti da “poliziotti dell’acqua” che manganellano “noi in ginocchio davanti ai rubinetti gocciolanti, in attesa che ci arrivi l’acqua per bere e per lavarci”: loro, insieme agli esperti, a libro paga di ben altri potentati.
Per rabbonirla, subito dopo le direi anche che i comitati per l’acqua pubblica vinceranno su tutti i fronti, spazzando via opportunisti e affaristi travestiti da organizzazioni fintamente democratiche. E sarà solo l’inizio: parola della sua Sibilla, che di previsioni se ne intende.

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