Il rumore del nostro passato

Nel giro di pochi giorni abbiamo perso Andrea Gallo e Franca Rame. Se ne vanno gli esempi, quelli forti e veri. Quelli di cui, purtroppo, giornali e tv parlano in forma addomesticata, edulcorata, omissiva, riducendoli a specie di omogeneizzati ad alta digeribilità, utili anche per appagare e contemporaneamente sopire qualsiasi istinto di ribellione ancora sparso qua e là in questo paese di servi. Perché questo è un paese di servi, di gente che si vende per molto e anche per molto poco, per garantirsi imperi economici e colonie finanziarie ma anche, semplicemente, per avere un minuto di gloria in uno studio televisivo o un qualche favore per sé, per il proprio clan. Questo è un paese che dimentica in fretta, tutto: le peggiori ferite al suo corpo democratico e le più grandi conquiste strappate con decenni di lotte, di coraggio, di aperta disobbedienza e di libera autodeterminazione. Questo è un paese di furbi, di tattici, di ambigui, di personaggi che ogni giorno ti passano accanto con il loro grigiore pavido e con false scintille di egualitarismo di facciata, con slogan pronunciati e intanto traditi, con deleghe in bianco su cui poggiare carriere da rampanti della peggiore politica, che ora si allea apertamente con chi si è sempre, di fatto, alleata: con fascisti, mafiosi, populisti e poi seconde linee, nascoste dietro il clamore che distoglie da trattative e affari indicibili. Oppure dicibili, come se niente fosse, di fronte a un paese incapace di chiedere almeno il conto.
Se ne vanno anche gli ultimi esempi di un modo differente di vivere la politica, l’impegno sociale e culturale. Guarda caso appartengono a una vecchia generazione, quella che avremmo dovuto abbracciare e onorare prendendola a costante riferimento del nostro agire e che invece è rimasta sommersa da alleanze mediatiche e politico-affaristiche che hanno fatto vuoto di tutto, di ideali, di vite, di futuro. E anche di presente, mangiandosi la realtà a bocconi, in una bulimia oscena che macina i drammi della crisi e i pochi, troppo pochi, tentativi di cambiamento.
Io non ci sto, questo dovremmo ripeterci ogni momento, alzando la testa, ribellandoci, agendo. Quanti di noi lo stanno facendo e quanti invece preferiscono ripetersi la favoletta dello scegliere il meno peggio, pur sapendo che si tratta del peggio del peggio?
Questo mi viene in mente pensando a Franca Rame: un’invettiva senza freni contro la mediocrità e il servilismo di oggi. Soprattutto pensando al suo passato così difficile eppure così battagliero, da comunista convinta in teatro, in piazza, nelle fabbriche. Dalla Comune alla Palazzina Liberty, da Soccorso rosso ai movimenti degli anni Settanta: controllata, censurata, perseguitata, stuprata dai fascisti perché comunista e donna. Costretta a recitare chissà quante volte davanti a poliziotti schierati. E poi femminista, quando ancora non esisteva la trovata umiliante delle quote rosa.
La si può ricordare così, con chiarezza e in nome del suo vero passato? Oppure no, perché la tiritera dei politicamente corretti chiama all’oblio come una sirena mortifera?
Franca Rame è stata prima di tutto una compagna, viva, attiva, combattente. Così me la ricordo e così me la voglio ricordare.
L’ultima volta che la vidi eravamo a Santa Cristina, dal figlio. Guardavo intorno il verde un po’ selvatico di quell’angolo sperduto di Umbria, tenace come lei ma così pieno di silenzio, e pensavo a quanto mi mancasse il grande rumore del nostro passato, del suo passato. Ora mi manca anche di più.

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