Il filo in testa

Imarionetta risultati elettorali di cui oggi si discute sono ulteriore conferma di due precise evidenze: la strada per un vero cambiamento è lunga ed è un bene che sia così. I voti che si raccolgono a palate perché fluttuano a milioni tra vari schieramenti, senza coerenza né radicamento, non sempre sono espressione di una libertà piena e di una concretezza di intenzioni. All’origine di essi pesano spesso confusioni, bugie, condizionamenti, interessi privati da tutelare. E anche una profonda distanza da chi, sempre più in massa, preferisce non votare. Questa grave emergenza democratica può diventare una comoda scorciatoia, un risparmio di energie che ti fa correre in uno spazio enorme, una specie di prateria senza volti né voci né ostacoli verso il traguardo, quale esso sia.
Questo è il punto: quale traguardo cerca Matteo Renzi se è espressione organica di valori capovolti, di partiti corrotti e di un debito che cresce insieme a un liberismo economico-finanziario senza più freni? E se la cooptazione si gioca tutta su questi presupposti e sull’obbedienza cieca, senza alcun confronto né esercizio critico?
Queste domande richiamano risposte tutt’altro che rassicuranti. Voti che si concentrano su quell’uno per cento di umanità (si fa per dire) che affama il restante novantanove mi fanno ancora più convinta della necessità che in Italia l’impegno sociale e i movimenti crescano, e il Cinque Stelle con loro, seguendo metodi e valori del tutto differenti.
Che la strada sia lunga si sa, si è sempre saputo. Non è facile battere chi oggi garantisce i poteri più forti e gli interessi meno limpidi in inquietante continuità con il passato.
Mai confondersi con il nemico, mai, nemmeno nelle tattiche, nemmeno nella comunicazione. Bisogna essere profondamente differenti dentro e fuori, e soprattutto liberi di vivere fino in fondo la propria differenza ovunque. Rodari racconta:
Una marionetta scappò dal teatrino per amor di libertà. Però si era dimenticata di tagliarsi il filo che le cresceva in testa e non capitò mai in un posto dove non ci fosse qualcuno pronto a farla ballare a suo piacere. Si può anche scappare lontanissimo, è facile, ma più difficile è tagliare la corda (Gianni Rodari, “Il cane di Magonza”, Editori Riuniti, 1982)

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Leggerezza

Mattino di semplice evidenza
e luce senza origine ovunque,
il silenzio si allunga
e avvolge indifferente ogni forma

i passaggi stradali, i rantoli delle marce
ogni orma lasciata
distilla trasparenza e sparisce

un lamento animale
non buca l’incomprensione
dell’aria sempre più sottile

oggi non si respira
per troppa leggerezza

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Io sto con il rospo

rospoQuesta, più che una dichiarazione di voto, è una dichiarazione di vita e di salvezza dal baratro scavato dai partiti e coperto di finzioni per spingerci sull’orlo. Loro si attaccano a radici vecchie di decenni, contorte e dure a morire, come ogni interesse deviato dal bene comune che lì trova nutrimento. Se vogliamo veramente vivere quelle radici vanno tagliate tutte, innesti e ramificazioni compresi, perché ci hanno portato all’emergenza totale. Diritti umani e civili, sistema statale e tenuta democratica, ambiente e salute, istruzione, cultura, lavoro, informazione, legalità, e prima ancora ogni bisogno primario, dal cibo alla casa, sono garantiti così poco e male che ci si domanda come sia possibile reggere.
Ogni giorno arrivano notizie sempre più sconcertanti: svendita di beni e terreni comuni, deregolamentazione di appalti miliardari, pugno di ferro con chi non ha un tetto e cerca comunque di sopravvivere, criminalizzazione di chi si oppone, attacchi ripetuti e concentrici che stordiscono e tolgono il fiato.
Per uscire da questa spirale che ci tira a fondo è necessario prima di tutto costruire un muro che fermi chi ci sta governando: un muro di voti, ogni voto un mattone. Più il muro cresce più ci proteggiamo. I Cinque Stelle sono gli unici che vogliono costruire davvero questo muro, quindi il mio mattone io lo darò a loro. Spero anche che la loro erba, così nuova, spontanea e tenace, possa sostituire tutte le vecchie radici che ci soffocano.
Nel 1946 Orwell scrisse alcune pagine dedicate all’importanza della natura, specie nelle sue manifestazioni primaverili. Il risveglio di piante, fiori e animali gli indicavano una pienezza e un senso ben più forti di ogni primato della politica a scapito della vita. Più di tutti Orwell amava il rospo, animale che meglio rappresenta l’uscita da ogni letargo, reale o figurato. Ecco, oggi io sto con il rospo, spesso sottovalutato anche se più umano di tanti umani. E ringrazio Orwell, per la sua saggezza, per un’ecologia del linguaggio a cui, passata la tempesta, anche noi presto torneremo, e poi perché “la primavera è sempre primavera. Le bombe atomiche si ammassano nelle fabbriche, le polizie s’aggirano minacciose per le città, le menzogne piovono dagli altoparlanti, ma la terra continua a girare intorno al sole e né i dittatori né i burocrati, per quanto profondamente ostili alla cosa, sono in grado di impedirglielo” (“Elogio del rospo”, in Nel ventre della balena e altri saggi, Bompiani 2011, pp. 342-346).

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