Un’altra Pisa

Quando tornerò a Pisa lo farò con un librettino in tasca. S’intitola “Scacco alla torre”, è pubblicato da Felici e scritto da quel Marco Malvaldi più conosciuto per una serie di gialli divertenti, usciti con precisione quasi svizzera da Sellerio dal 2007 in poi.
Protagonisti alcuni vecchietti che si incontrano in un famigerato caffè dall’improbabile nome di BarLume, anche quei gialli sono un esempio di toscanità allo stato puro, così come questa specie di guida scanzonata alla città.
Scritta con quel fare da arguto buontempone che soltanto un vero toscano può portare nel mondo con schietta disinvoltura (una specie di seconda pelle, che non si perde nemmeno risciacquando i panni chissà dove), è una piccola perla di sana affabulazione. E’ un tener palla, si direbbe nel calcio, con figure retoriche, giri di parole e fioriture varie di modi di dire, di nominare e soprannominare, che ti tirano dentro come in un valzer. Come quando, incontrato qualche toscano per strada o al bar, ci si trova immediatamente travolti in conversazioni irresistibili, in cui il tempo si perde e la bussola pure. Perché i toscani sono anche un po’ matti, provare per credere.
Dai lungarni alla piazza dei Miracoli, i percorsi di Malvaldi si intrecciano con stratificazioni urbanistiche legate all’università, alle scienze e alle arti nella loro popolarità più curiosa. E’ un po’ come sollevare la gonna a una signora d’antan per sbirciarci sotto: un vero divertimento, un surrogato di viaggio più saporito del viaggio stesso, per un umorismo leggero che colora le cose di sfumature inedite e irriverenti. Fino allo svelamento del migliore caffè della città, non al BarLume ma da un certo Enrico: senz’altro da provare, anche lì vecchietti permettendo.

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Periferia

“Faubourg”, e cioè periferia, è l’ultimo libro di Georges Simenon uscito in Italia per Adelphi. Lì la periferia può essere intesa sia come luogo di provincia sia come marginalità di sé, parte non omologata che cova in separatezza e poi emerge in un crescendo che travolge tutto, anche la tradizionale indolenza di una cittadina altrettanto ai margini.
Simenon stupisce ancora una volta, per la capacità di dipanare una matassa (di situazioni, personaggi e dialoghi) in un andamento e un amalgama, di ambiente e di fatti, così empaticamente costruiti da far pensare a una vera e propria proiezione di sé. O, più precisamente, alla parte più irrisolta di sé dentro un cono d’ombra che, invece di nasconderli, svela i propri comportamenti più torbidi. E una cittadina piccolo borghese li accoglie, per averli prodotti all’origine o per averli indotti dal fondo della sua più agghiacciante e normalizzante quotidianità. Così la comédie humaine diventa palcoscenico per la trasformazione di un protagonista potenzialmente tragico. Fino all’epilogo finale, che rende in tutta la sua evidenza l’esasperazione per un’appartenenza alla medietà della provincia, negata e insieme confermata in un conflitto feroce quanto la medietà stessa.
Quasi per legge del contrappasso, il romanzo è uscito per la prima volta a puntate su un settimanale, concedendosi a una serialità anch’essa media e rassicurante, ma sotto sotto inquietante come la periferia rappresentata. Entrambe, infatti,  si mostrano incapaci di contenere una complessità, di contenuto e di stile, tipici di Simenon e delle sue proiezioni in storie non maigretiane.
Leggere oggi il romanzo in unica soluzione, rincorrendo il filo della vicenda e dei dialoghi in un ritmo serrato che non si spezza, rende giustizia all’autore, e naturalmente al lettore, per una ritrovata unitarietà tra centro e periferia, dell’opera e del sé rappresentato.

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Lou Reed era

Immagine anteprima YouTubeLou Reed era questo e tanto altro. Scegliere cosa caricare non mi è stato facile. Ho amato molto i Velvet Underground, per esempio Nico e “Femme fatale”, una volta ascoltata a tutto volume in una grande piazza deserta, all’una di notte: voce ruvida sopra il vinile, una grana grossa come quella dei film e delle foto in bianco e nero della nostra primissima giovinezza.
Ognuno dei brani storici di Lou Reed è un manifesto, ognuno si è intrecciato con un pezzo di storia personale e collettiva densa e irripetibile. Così è andata, allora.
E ora lui se ne va, lasciando un sentimento quasi adolescenziale di vuoto, di quelli di cui quasi ci si vergogna considerato tutto: i guai del mondo e naturalmente l’età.
Ma chi se ne importa, alla fine, la musica funziona così: a volte torna e ti mette sottosopra. Un bel sottosopra, come questa “Heroin” versione 1974: un pugno dritto verso i benpensanti, allora. E anche ora, chissà…

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