Per le minoranze (e in morte di Alvaro Mutis)

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Nel mio archivio delle poche parole indispensabili c’è un piccolo manifesto per le minoranze che ho quasi imparato a memoria: parole dure e luminose, nate dall’incontro di Fabrizio De André con i libri di Alvaro Mutis. E poi con Mutis, che ora non c’è più. Come De André, ma le parole restano.

Alta sui naufragi
dai belvedere delle torri
china e distante
sugli elementi del disastro
dalle cose che accadono
al di sopra delle parole
celebrative del nulla
lungo un facile vento
di sazietà di impunità Continua a leggere

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Autunno caldo e condizionatori

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Alberto Perino è un esempio di tenacia e coerenza nel combattere il Tav, opera inutile e dannosa, e di chiarezza nello spiegare come il fenomeno Tav si colleghi con ciò che di grave sta accadendo nel nostro paese: crisi finanziaria e governo delle larghe intese, attacchi alla Costituzione ed ennesimo salvacondotto per il condannato eccellente Berlusconi. Mai come ora le istituzioni nemiche dei cittadini hanno bisogno di costruire artificialmente un altro nemico, da combattere per riabilitarsi agli occhi dei cittadini stessi. Se poi questo nemico viene dal dissenso tanto meglio: due piccioni con una fava, annienti una minoranza e intanto ti accrediti presso tutti gli altri. Le cacce alle streghe sono sempre strumentali: creano nuove paure o ne alimentano di vecchie, perché chi è impaurito è più disposto ad essere suddito e a digerire ogni tipo di boccone (anche, ad esempio, la riduzione dei diritti, della partecipazione, della libertà di critica).
La resistenza delle popolazioni valsusine nei confronti di un’opera pubblica palesemente contraria a ogni bene comune è la dimostrazione concreta di come invece ci si possa sottrarre all’indifferenza di un paese che inghiotte davvero tutto, diventando cloaca di ogni speculazione e transizione verso un regime strisciante. Che non prevede né proclami espliciti né carrarmati ma un soffocamento morbido, progressivo e inesorabile di ogni forma di coesione sociale e civile, con tattiche anch’esse da manuale: paura collettiva, gestione emergenziale di risorse pubbliche per affari privati, controllo dei media, delle istituzioni e degli istituti finanziari, svuotamento degli organi di rappresentanza e dell’intero sistema pubblico. In una parola, si tratta di uccidere lentamente la democrazia, ora addirittura inventandosi la necessità urgente di rivedere alcune sue garanzie costituzionali: irritualmente, come dicono molti buonisti usando l’ennesimo eufemismo; molto pericolosamente, dico io, per il nostro futuro di nazione libera e civile.
Dunque, se l’autunno italiano sarà caldo non dobbiamo spaventarci, perché solo in quel caldo forse c’è una via d’uscita: senza condizionatori, però, d’aria e non solo.

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Un tetto che scotta

In tempi così insidiosi per la democrazia italiana, ai quali si vorrebbe garantire una durata indefinita anche modificando la Costituzione, salire sul tetto del Parlamento per denunciarne i tentativi è il minimo che un parlamentare possa fare. Specie se l’uso delle prerogative parlamentari, e della loro efficacia democratica, viene continuamente piegato a interessi che non riguardano i cittadini ma la necessità che un’élite di autorappresentati continui a garantirsi poltrone, affari, impunità. Semmai il problema è un altro: dodici gatti (parlamentari Cinque Stelle, e chi altrimenti? subito accusati di randagismo istituzionale) saliti sul tetto del Parlamento esprimono un’impotenza reale con un gesto minimamente proporzionato alla gravità dei fatti che giustamente denunciano. Su quel tetto dovrebbero salire milioni di cittadini sempre più esautorati, ora perfino dal potere di difendere la loro Costituzione. Sì, loro, come è loro il diritto di difendersi dalla crisi e dai rigurgiti autoritari delle forze oggi in campo.
Quello del Parlamento è un tetto che scotta, perché spazio simbolico di tutto il fuori che preme per salvarsi e per autodeterminarsi. Ed è miope non comprendere che, allo stato dei fatti, piccoli atti di disobbedienza istituzionale sono il male minore: segnalano senza violenza l’esasperazione che cresce, esorcizzano i forconi alla porta.

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