Fiato rosso

Immagine anteprima YouTubeSi fa fatica a condensare in qualche riga tutto quello che può scatenare, tra riflessioni ed emozioni, la tromba rossa di Miles Davis che prende a pretesto il pop più trito, per esempio il brano Time after time di Cyndi Lauper, e lo scarnifica, lo trasfigura e lo riavvicina al rock e al suo pubblico. Come al rock ha riavvicinato il suo jazz, che non è stato soltanto jazz ma tanto di più e di altro. L’eresia musicale, come in genere le eresie, è ciò che permette di sperimentare e intanto provocare un cambiamento, proprio e del pubblico. Si sa che questo può costare le disapprovazioni più accese di critici paludati e di nicchie di estimatori con il verbo in tasca e la puzza al naso, ma si va avanti ugualmente, seguendo un demone creativo magari incompreso e mal tradotto in deriva commerciale, quando invece resta, anche dopo tanti anni, quello che era e che ancora è: la straordinaria capacità di un artista di costruire su un semplice pretesto, cioè qualche nota addirittura melodica, una microenciclopedia della musica secondo se stesso, dal fiato struggente e nostalgico di qualcosa che si è perso chissà dove, magari tra i campi di cotone, fino alla realtà metropolitana in un assolo elettrico. Di fronte, una marea da stadio che rende tutto più caldo e più vicino alla vita di tanti. Per quest’ultimo motivo sento più vicina l’esibizione di Tokio (meno perfetta e anche meno jazz di altre che circolano in rete, da Montreux a Montréal), sporca e straniante, autentica nonostante tutto. E necessaria, anche per tanta musica nata negli anni dopo.

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Stanza numero sedici

Si fa camera delle immagini intorno
ma il diaframma chiude una
sull’altra finestre nere
che bloccano la luce,
niente può la memoria
se assottiglia il presente
e manipola nomi impastando
dolore
forse un abbraccio è saggezza
più dei tuoi scritti confinati
tra la vita e il resto
forse un gesto è ricchezza,
e anche l’uso di oggetti
quotidiani in momentaneo
possesso

ti resta l’esperienza,
una mano che scosta
i tuoi capelli dal viso
e poi torna in un sogno
a benedirti (1996)

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Quanto costa un lavoro

Quanto costa un lavoro? Questa domanda ha un senso letterale (quanto dovrebbe essere pagato un lavoratore, sia in soldi sia in garanzie) e uno più traslato, che riguarda il ricatto a cui un individuo può essere sottoposto per ottenere o mantenere un lavoro. I lavoratori raramente hanno il sostegno e la forza necessarie per raccontare, soprattutto in pubblico, cosa sono costretti a subire. Federico Altieri racconta, e questa è una buona notizia. Immagine anteprima YouTube
Di Ken Loach, che dopo la segnalazione di Federico Altieri si è documentato e poi ha preso una posizione forte e chiara, avevo già parlato in un post precedente. Di nuovo c’è il suo intervento in un’assemblea pubblica a Torino, indetta dall’Unione sindacale di base. Non serve aggiungere altro, le sue parole bastano e avanzano. Immagine anteprima YouTube

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