Dreadlock!

Dreadlock di Jacopo Nacci (Zona Novevolt 2011) è un esempio riuscito di come si possa ancora scrivere narrativa rappresentando e insieme interpretando la realtà attraverso un pensiero critico. Che l’autore sa fare diventare racconto, o meglio il più efficace filo conduttore di un racconto dalle forme e dai linguaggi compositi, così autentici e necessari anche quando attraversano la serialità e i simulacri della finzione. E’ in questi vuoti di secondo livello, apparentemente immateriali, che l’io narrante si avventura per stanarne ogni pulsione di morte, ogni concreta ferocia, ogni subdolo rischio di assuefazione all’insensibilità, per poi uscirne intatto nella forma di un’umanità superstite, forse ancora capace di vita e di senso. Si tratta di un corpo a corpo molto simile a quello che ingaggia il supereroe Dreadlock a difesa dalle ingiustizie. Quest’ultimo, anche se da un piano diverso (dall’alto dei tetti, e con le trasfigurazioni che per fortuna nulla hanno a che vedere con le maschere funerarie della virtualità televisiva), nel fluire della narrazione in parte si avvicina al protagonista (e, attraverso lui, anche al narratore), in un gioco di intersezioni e sovrapposizioni che allude a una pluridimensionalità dell’io irriducibile anche al principio di realtà. E’ proprio tale dimensione plurima – replicata nell’intreccio di scene e avvenimenti, di situazioni comuni ed epiloghi inattesi, di singoli episodi che ne evocano tanti altri  (la violenza razzista,  i kamikaze) –  una notevole caratteristica del testo, capace di combinare tra loro realtà e finzione, racconto e citazione, persona e personaggio, in una complessità che si estende e poi si ritira per tornare all’uno, o al massimo al doppio protagonista-autore. Ne sono esempi in un senso i Laureati  (uomini camuffati da scrittori, a loro volta mediatori di realtà) e nell’altro i Destatori, in una loro riduzione del tutto a morte e sofferenza, per poi tornare da lì, all’inverso, a un’originaria sensibilità umana.

Sono vari anche i toni: colloquiale e gergale, sarcastico e drammatico, fino a toccare il tragico della maschera estrema e dei corpi ridotti a pezzi, oggetti e suboggetti di una realtà che esplode nel momento della massima oggettivazione umana. E della sua contraddizione, per una perdita progressiva di senso e di relazione con sé e con il resto.

In uno stile originale e accurato, quella che poteva annunciarsi come l’ennesima commedia ha preso invece la forma suggestiva e visionaria di un affresco umanissimo, di una potenziale graphic novel d’autore che aspetta soltanto di incontrarsi con un segno altrettanto originale e intenso per diventare anche altro.

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Monti affonda la spada fino all’Elsa

Questo è il disegno del governo Monti: portare un affondo senza precedenti al corpo già sofferente di tutte le generazioni, dei nonni, dei padri e dei figli. E’ stata appena consegnata la manovra commissionata dai partiti  e già si parla di mercato del lavoro e di regole da rivedere per bocca del ministro Elsa Fornero, che affida al Corriere della sera un’intervista dai contenuti aberranti, riportati con grande dovizia. Visto mai ci si potesse risparmiare qualcuna delle sue locuzioni con un nuovo portato di senso, distillato del laboratorio tecnocratico in corso? E invece giù con “equità intergenerazionale” e “riforma del ciclo di vita”, giù con “speranza di vita” riferita al calcolo pensionistico e non ad altro, giù con la “produttività” come valore guida, monetizzato in proporzione alla capacità fisica e psichica. In soldoni, un giovane va retribuito di più e un vecchio di meno.

A quando la selezione della razza, signora Fornero? A quando l’inserimento in prontuario di un’età oltre la quale ciascuno di noi si allontanerà dal branco per andare a morire di fame e di sete in un angolino nascosto?

E dire che c’è chi si è fatto pure distrarre dalle sue lacrime, perdendo di vista il resto. Che è tanto e tanto grave, se lei dice che “giovani e donne sono i più penalizzati perché la via italiana alla flessibilità ha riguardato solo loro, risparmiando i lavoratori più anziani e garantiti”, “il solito segmento superprotetto”. In queste parole ci sono accuse e disprezzo, anzi di più:  sembra esserci il germe cattivo della contrapposizione tra generazioni, della guerra tra padri e figli. Divide et impera, come sempre. O forse no, magari siamo all’inizio di una nuova uguaglianza in nome della flessibilità per tutti, padri e figli.

Quando le nominano l’art. 18, la signora riesuma addirittura la buonanima di Luciano Lama per fargli dire “Non voglio vincere contro mia figlia”. E per aggiungere, lei: “Noi, purtroppo, in un certo senso abbiamo vinto contro i nostri figli”. Parole esplosive ma false, perché affermare che la crisi attuale dipenda dalla difesa dei diritti dei lavoratori non sta davvero né in cielo né in terra. Ma come fece piangendo, la signora distrae, mistifica, sposta.

Di fronte a tutto questo, passa quasi in secondo piano un’uscita infelice sull’allungamento della durata del lavoro per le donne, che secondo lei pesa soltanto perché non c’è parità tra sessi. Infatti sentenzia: “Quando sento dire io lavoro molto e poi devo anche occuparmi di mio marito e della casa dico che le famiglie condividono ancora troppo poco i lavori di cura”. Qualcuno le ricorderà che lei è ministro del welfare e che in un paese civile è il welfare a occuparsi di molti dei lavori di cura? Ma dimenticavo, gli anziani da accudire sono un problema per lei superato, perché solo chi è produttivo merita di essere accudito.

Ma la Fornero è buona, anche se non sembra, e ci ricorda che così facendo ci salverà i risparmi (quali?) e anche le tredicesime.

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Grazie ai dislessici

In un post precedente dal titolo Veteroblog mi sono presa un po’ in giro, mettendo in evidenza alcune caratteristiche del mio blog che lo fanno apparire tutt’altro che moderno.
Fra queste c’era il fatto che allineavo i testi a destra. Ci ho scherzato anche sopra, dicendo più o meno “proprio io,  poco allineata e per niente di destra”.

Succede invece che sbandierare (cioè non allineare) a destra i testi sia utile ai dislessici perché:

garantisce un’uguale spaziatura tra parole e tra lettere, rendendo la lettura più lineare e codificabile

permette di avere una forma particolare dell’insieme della pagina che aiuta a evitare la perdita del segno

Gli spazi bianchi di dimensione variabile sono difficili da ignorare per i dislessici, distraggono dalla lettura e spesso hanno come conseguenza la perdita del focus visivo.
Il testo giustificato a sinistra, invece, permettendo a ogni periodo di iniziare allineato con gli altri precedenti e successivi, facilita l’orientamento visivo.

Prima non lo sapevo e ringrazio chi me l’ha spiegato.

Oggi inauguro questa necessaria sfrangiatura a destra, riconfermando un rigoroso allineamento a sinistra. Di quest’ultimo ai dislessici non posso essere che grata: simpatici prima, ora anche di più.

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