Quelli di viale Brin

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So chi sono quelli di viale Brin: lavoratori dell’acciaio dignitosi e tutti d’un pezzo. Tirano avanti le loro famiglie e sostengono da sempre la loro città.
So anche chi è la ThyssenKrupp, ancor prima del rogo di Torino. Ho vissuto alcuni anni a Terni e ricordo bene quando arrivarono i nuovi padroni tedeschi. E i loro tecnici, che abitavano in case di collina nascoste dagli ulivi per non avere né respiro né vista sulla conca ternana, mare di cemento e di fumi.
E so anche chi è questo Governo, un’accozzaglia di rampolli e rampanti senza prima né dopo, capace di parole sprezzanti che cancellano l’umanità stessa di chi porta sulle spalle un passato: un pensionato che guarda un cantiere e scuote senza fiducia la testa, uno del ceto medio che prova a ragionare, un professore che offre agli altri quello che sa. E un lavoratore che vuole garanzie, per sé e per tutti.
E allora capisco il senso del manganellare, ieri, gli operai di Terni che ancora osano pensare e chiedere.
I manganelli scendono già da un po’ sulle teste di chi pensa e chiede: sugli studenti ad esempio, anche di quindici anni soltanto, per il solo fatto di non abbassarsi di fronte a un Ministro che distrugge la scuola; o sugli abitanti che difendono le loro terre da grandi opere, trivellazioni, rifiuti e inquinamento; o sui tanti, sciolti oppure uniti, che si oppongono come possono alla loro stessa cancellazione.
Di quelle teste spaccate parleranno tanto, con la retorica vuota del post-vintage che copre la realtà e piace tanto ai giornali (i gettoni e i rullini; Marta, il pensionato e il professorone; il selfie, lo smartphone e Barbara d’Urso). Mentre qualcun altro, per loro conto, ancora menerà e tanto.
Ma noi sappiamo chi siamo: siamo quelli di viale Brin, sparsi per tutta Italia.

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Ricostruiamo il Grizzly

GrizzlyIeri sera mia figlia torna a casa e dice: ci hanno distrutto il Grizzly; bruciato, allagato, spaccato. Lei sapeva di fuliggine come avesse risalito un camino, stamattina ha lasciato un’impronta nera sul letto.
Il Grizzly è uno spazio sociale autogestito, nato a Fano il primo maggio per volontà di un gruppo di giovani che ha recuperato una struttura abbandonata. Tanto lavoro e in poco tempo tante iniziative di informazione e sostegno concreto, sociale e culturale: dall’emergenza abitativa locale alla Palestina, dal Tav all’editoria indipendente. E le cene di sostentamento. E l’orto lavorato con metodi naturali, con la contentezza per la prima insalata o per la zucca gialla. E i racconti esilaranti degli eserciti di lumache da trasferire con spedizioni gentili un po’ più lontano.
Poi, finalmente, sono arrivati anche i libri: una piccola raccolta a disposizione di tutti.
Sono entrati dal retro come ladri, nella notte tra sabato e domenica. Hanno bruciato i libri, spaccato le tubature, incenerito e allagato. Hanno lasciato per ricordo una svastica e una sola parola: dux.
Ora bisogna rifare il Grizzly più bello e più animato di prima, senza disperdere le energie in analisi che servono a poco. Quello che conta è che la comunità risponda sostenendo la ricostruzione. Chiunque mi conosca e, anche da lontano, voglia in qualche modo contribuire, può rivolgersi a me (all’indirizzo info@marinadellabella.it). Riceverà tutte le informazioni che servono.
Sono sicura che, partecipando in tanti, a breve ci incontreremo per una bellissima festa.

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Una pax agghiacciante

La trattativaLa Trattativa di Sabina Guzzanti è un film ben fatto e necessario. Ben fatto perché costruisce attorno a un contenuto forte, e urgente da comunicare, una soluzione stilistica coerente e multiforme, utile per la comprensione degli spettatori ma mai appiattita sul fine, tanto che la definizione stessa di docufilm rischia di essere riduttiva. La realtà che irrompe attraverso video di repertorio e dettagli informativi, imbullettati sullo schermo a mo’ di enorme bacheca che espone e denuncia, incrocia la sua stessa rappresentazione mentre si costruisce, tra scena aperta e backstage, tra coro muto che osserva, come in una tragedia greca, e personaggi che si staccano dal fondo per prendersi spazio e parola, luce e racconto che li anima. E che ci illumina con i fatti, in un succedersi impietoso dalle stragi di mafia dei primi anni Novanta ai depistaggi agli interrogatori, fino alle prove di relazioni dirette tra stato, mafia e massoneria ai loro livelli più alti. Per poi arrivare a quella pax agghiacciante che dall’ascesa di Berlusconi ad oggi tiene insieme, in un abbraccio mortale, gli affari di tutti “loro”. E blocca ogni cambiamento che non sia di facciata, utile perché tutto continui secondo spartizione, senza squilibri, sgarri o aggravi nei libri paga.
Un film come questo andrebbe proiettato ovunque, nelle piazze e nelle scuole, per superare l’omertà, la disinformazione e i tabu che finora, non a caso, ci hanno impedito di guardare i fatti esattamente per quello che sono. E di parlarne liberamente, senza rischiare di essere accusati di vilipendio o di essere linciati mediaticamente. Forse molti di noi arriverebbero finalmente a capire perché l’Italia vive da troppo tempo un’anomalia pericolosa e unica nel suo genere, alimentata da una classe politica che si finge rinnovata ma che in realtà oggi è ancora più stretta in quell’abbraccio mortale.
Apriamo bene gli occhi, anche questo film può essere un inizio.

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