A Pomigliano

Immagine anteprima YouTubeA Pomigliano, tra gli operai dell’ex stabilimento Fiat, nessuno degli oltre trecento iscritti alla Fiom è stato finora richiamato a lavorare. La Fiat, per bocca di Marchionne, ha sempre negato il suo comportamento discriminatorio. Ha anche spiegato che, dopo la firma del contratto separato con altre organizzazioni sindacali, non trattenendo più quote sindacali Fiom, non ne conosce nemmeno gli iscritti.

Intanto pare che parte degli iscritti Fiom sia passata alla Fim, confermando il fatto che per lavorare è meglio cambiare sindacato. Oppure, viene di aggiungere, non iscriversi proprio.

Ad altre sentenze che un po’ dovunque in Italia stanno riconoscendo le ragioni della Fiom, ora si aggiunge anche quella su Pomigliano, avamposto della strategia aziendale della Fiat che pretende di piegare ai propri interessi Costituzione e leggi, contratti e libertà sindacale, dignità e vita dei lavoratori e delle loro famiglie.

A Pomigliano, che è anche avamposto di chi non si è fatto piegare dal ricatto del lavoro, ora la Fiom potrà tornare in fabbrica. Una battaglia vinta, ma la situazione è difficilissima anche per la minaccia della Fiat di chiudere lo stabilimento e di lasciare l’Italia.

Sulle spalle della Fiom di Maurizio Landini e dei suoi iscritti da anni grava un peso che nessuno nelle istituzioni, nei partiti e nei sindacati ha voluto mai condividere. Quel peso è infinitamente grande sia per la sproporzione delle forze in gioco (un manipolo di lavoratori contro la Fiat) sia perché in pochi si stanno battendo per i diritti di tutti senza nemmeno un grazie. Anzi, un ritiro della Fiat rischia di tornare loro addosso come un boomerang, con una perdita del lavoro generalizzata.

Eppure, per la maggioranza di noi la possibilità di futuro si annida proprio in piccole sacche di resistenza come quella di Pomigliano, pronta a spendersi fino in fondo, con ragione e anche con sacrosanta emotività. Proprio lì dentro dovremmo guardare, se vogliamo davvero salvarci.

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