Prima che se ne vada

Nelson Mandela è tanto, troppo perché riesca a parlarne. La sua vita appesa a un filo riannoda tanti fili: quello della ribellione, della resistenza alle persecuzioni e al carcere, della ricerca della verità, della riconciliazione comunque intransigente. Un esempio immenso, una dismisura, specie pensando ai personaggi che circolano in questo paese. Mi viene in mente Violante, ad esempio, e con lui tanti revisionisti di infimo spessore. Mi viene in mente il fatto che non si riesca a istruire un’indagine popolare che faccia luce sulle responsabilità politiche della crisi italiana e che avvii una fase di rinascita e di allontanamento dalla cosa pubblica di chiunque si sia compromesso con il passato. E non sto parlando di guerra civile ma di rivoluzione pacifica, cioè di verità e poi di riconciliazione. Rimando a un post intitolato Prima che se ne vada, un invito a riflettere prima che inizi il frastuono funereo dei media.

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Diamoci da fare

Le persone che non conoscono l’amore e il rispetto per l’umanità si estingueranno: questo il messaggio utopico lanciato in aria da Jacopo Fo al termine della orazione civile dedicata a sua madre Franca Rame. Conoscendo da tempo l’impegno quotidiano di entrambi so bene che non si tratta di parole ma di sostanza e concretezza.
Anch’io sono convinta che alla fine questo mondo lo cambieremo, non so quanto tempo ci vorrà ma lo cambieremo. Se ci si cala con spirito di servizio nelle tante realtà del volontariato, dell’impegno sociale e delle aggregazioni spontanee, in cui si esiste e intanto si resiste, si scopre un mondo differente da quello che i media ci mostrano per toglierci consapevolezza e speranza.
Tanto si sta facendo dovunque, per molti di noi la strada è presa e si tratta solo di continuare. Quello che è più difficile è collegarci in un progetto organico di società e liberarci da modelli di partito pericolosi per la sopravvivenza stessa di qualsiasi spinta al cambiamento. Altro non c’è da dire, c’è piuttosto da fare.
Oggi è il 2 giugno, giorno dell’ennesima, retorica e costosa parata dell’esercito, copertina patinata stesa sopra i finanziamenti di armi e gli interventi militari all’estero. Non ho avuto la forza di inserire qui un link al video di Franca Rame che interviene sull’argomento in Parlamento prima di dimettersi: disattenzione intorno a lei e poco rispetto, proprio un brutto spettacolo. Se vogliamo, l’ennesima prova che il cambiamento prima va costruito nella società e poi portato in un Parlamento che ne sia diretta espressione. Quindi, come direbbe lei e come dice Jacopo, diamoci da fare.

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Il rumore del nostro passato

Nel giro di pochi giorni abbiamo perso Andrea Gallo e Franca Rame. Se ne vanno gli esempi, quelli forti e veri. Quelli di cui, purtroppo, giornali e tv parlano in forma addomesticata, edulcorata, omissiva, riducendoli a specie di omogeneizzati ad alta digeribilità, utili anche per appagare e contemporaneamente sopire qualsiasi istinto di ribellione ancora sparso qua e là in questo paese di servi. Perché questo è un paese di servi, di gente che si vende per molto e anche per molto poco, per garantirsi imperi economici e colonie finanziarie ma anche, semplicemente, per avere un minuto di gloria in uno studio televisivo o un qualche favore per sé, per il proprio clan. Questo è un paese che dimentica in fretta, tutto: le peggiori ferite al suo corpo democratico e le più grandi conquiste strappate con decenni di lotte, di coraggio, di aperta disobbedienza e di libera autodeterminazione. Questo è un paese di furbi, di tattici, di ambigui, di personaggi che ogni giorno ti passano accanto con il loro grigiore pavido e con false scintille di egualitarismo di facciata, con slogan pronunciati e intanto traditi, con deleghe in bianco su cui poggiare carriere da rampanti della peggiore politica, che ora si allea apertamente con chi si è sempre, di fatto, alleata: con fascisti, mafiosi, populisti e poi seconde linee, nascoste dietro il clamore che distoglie da trattative e affari indicibili. Oppure dicibili, come se niente fosse, di fronte a un paese incapace di chiedere almeno il conto.
Se ne vanno anche gli ultimi esempi di un modo differente di vivere la politica, l’impegno sociale e culturale. Guarda caso appartengono a una vecchia generazione, quella che avremmo dovuto abbracciare e onorare prendendola a costante riferimento del nostro agire e che invece è rimasta sommersa da alleanze mediatiche e politico-affaristiche che hanno fatto vuoto di tutto, di ideali, di vite, di futuro. E anche di presente, mangiandosi la realtà a bocconi, in una bulimia oscena che macina i drammi della crisi e i pochi, troppo pochi, tentativi di cambiamento.
Io non ci sto, questo dovremmo ripeterci ogni momento, alzando la testa, ribellandoci, agendo. Quanti di noi lo stanno facendo e quanti invece preferiscono ripetersi la favoletta dello scegliere il meno peggio, pur sapendo che si tratta del peggio del peggio?
Questo mi viene in mente pensando a Franca Rame: un’invettiva senza freni contro la mediocrità e il servilismo di oggi. Soprattutto pensando al suo passato così difficile eppure così battagliero, da comunista convinta in teatro, in piazza, nelle fabbriche. Dalla Comune alla Palazzina Liberty, da Soccorso rosso ai movimenti degli anni Settanta: controllata, censurata, perseguitata, stuprata dai fascisti perché comunista e donna. Costretta a recitare chissà quante volte davanti a poliziotti schierati. E poi femminista, quando ancora non esisteva la trovata umiliante delle quote rosa.
La si può ricordare così, con chiarezza e in nome del suo vero passato? Oppure no, perché la tiritera dei politicamente corretti chiama all’oblio come una sirena mortifera?
Franca Rame è stata prima di tutto una compagna, viva, attiva, combattente. Così me la ricordo e così me la voglio ricordare.
L’ultima volta che la vidi eravamo a Santa Cristina, dal figlio. Guardavo intorno il verde un po’ selvatico di quell’angolo sperduto di Umbria, tenace come lei ma così pieno di silenzio, e pensavo a quanto mi mancasse il grande rumore del nostro passato, del suo passato. Ora mi manca anche di più.

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