D’amore e di battaglie

Andrea Gallo non finisce con il suo funerale, sparso tra chiese differenti per gerarchie sociali e tra chiese e piazze, anch’esse in gran parte differenti. Non finisce con foto, video e pagine di giornali costretti a parlarne perché la sua morte fa notizia. Chi crede di averlo seppellito con un necrologio buono per tutte le testate di regime, falsamente progressiste oppure ottusamente reazionarie, si metta l’anima in pace. Anche a corrergli dietro don Gallo non si acchiappa. Il suo passo è più avanti, nell’amore sconfinato per gli ultimi e per le infinite battaglie in loro difesa. Nel suo spirito straordinario, saldato alla concretezza quotidiana della sofferenza, per un suo riscatto necessario.
Don Gallo non è uguale a nessuno, mentre lascia a ciascuno un’eredità differente, un germe di pensiero su cui riflettere e lavorare. Al di là di tante inutili parole, ora lui è questo: un grande esempio di forza controcorrente e necessaria perché il sacro si faccia profano e cammini per strada con un passo nuovo, per un vero progetto di liberazione.
Chi cercherà don Gallo potrà trovarlo qui e dovunque ci sarà da combattere per un altro mondo possibile. L’altro ieri era sopra le spalle dei camalli, oggi in una fessura d’azzurro apparsa all’improvviso in un cielo di piombo: era con Carlo Giuliani, dietro una sciarpa rossa a ridere come un bambino.

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I passi della scrittura (tre)

La mia nuova raccolta di versi è conclusa. Iniziata a fine settembre 2012 e terminata il 21 marzo scorso, ha richiesto un mese di tempo per selezionare le poesie da includere (85 su 101) e per la revisione generale. Il 24 aprile ho chiuso definitivamente il file con un misto di fatica e sollievo. Il giorno dopo ho festeggiato la Liberazione per le strade di Parma, portando dentro di me questa piccola novità.
Ora sono in attesa di qualche copia stampata da distribuire agli amici per una prima lettura, poi si vedrà. Come ripeteva Dario Bellezza, tutto si consuma nell’atto stesso dello scrivere, il resto non ci riguarda. Oggi mi sento di aggiungere che al massimo riguarderà gli altri, se mai si sarà scritto qualcosa di buono e utile per loro. Il che non è mai facile, naturalmente.
Questa volta la raccolta è nata sotto la spinta, emotiva e razionale insieme, di un fatto di cronaca accaduto nel settembre dell’anno scorso. Un cucciolo di giraffa di nome Aleksander era fuggito da un circo finendo nei nostri spazi cosiddetti civilizzati, trovandovi infine la morte. Personalmente ho visto in questo episodio e nella sua spettacolarizzazione una sintesi potente del degrado e della mistificazione in cui viviamo ogni giorno. Dal quotidiano gli inermi sono aggrediti o espulsi per difetto di omologazione. Un animale fuori del suo mondo è inerme; un bambino, un anziano o un disabile è inerme; un escluso dal lavoro è inerme; un migrante è inerme; un civile sotto le bombe è inerme; chi si suicida è inerme. Anche chi per disperazione rivolge il suo gesto contro altri fino a un attimo prima era inerme e senza via d’uscita.
La fine di Aleksander è un esempio come tanti della rapida eliminazione di chi è inerme in quanto problema, subdolo per i falsi sentimenti che muove e per la sua banalizzazione in facili schieramenti a favore o contro l’impiego di animali nei circhi. A me, soprattutto, interessava scrivere del grande circo che ci contiene, con gabbie dorate o arrugginite, serrate oppure socchiuse, magari per questo anche più pericolose. Forse l’illusione di dare forza a chi non può difendersi mi ha dettato parole, suoni e ritmi. Che poi ho a lungo asciugato e ripulito, per essenzialità e rigore necessari quando si tratta di descrivere e riflettere quello che stiamo e sto vivendo. Dentro ci sono infatti i cambiamenti climatici e le piogge torrenziali, Taranto e l’Ilva, il Salto di Quirra, i sindacati, la politica e gli affari, la bellezza struggente di Venezia e quella delle nostre campagne, tracce qua e là del mio passato e dei miei affetti, il mare di qui e le montagne oltre confine, denunce e domande, il tutto accompagnato dal passo smarrito di un cucciolo fuori misura. Un po’ come tanti di noi, oggi, di fronte al gelo che avanza.

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L’abbraccio del Ventennio

Proprio oggi, giorno in cui Giorgio Napolitano si insedia per la seconda volta come Presidente della  Repubblica, sono state distrutte le intercettazioni telefoniche tra lui e l’ex Ministro dell’Interno Nicola Mancino, eseguite durante l’inchiesta sulla trattativa stato-mafia e tolte di mezzo per decisione della Corte costituzionale a seguito del conflitto di attribuzioni sollevato dal Quirinale stesso. Una coincidenza, naturalmente, come tante altre. Come quella, ad esempio, che si trovi in un lampo (ma magari era pronto da tempo) l’accordo PD-PDL per la sua rielezione, come molto probabilmente quello per la formazione di un governo sempre più lontano dai cittadini ma vicino e gradito agli innominabili. E anche ai nominabili, nazionali e internazionali: banche, finanza, mercati, Vaticano e Cei, massoneria, servizi (non quelli pubblici, naturalmente, ma quelli segreti). Nel suo passato settennato Napolitano è stato tutto fuorché rispettoso delle prerogative a lui affidate dalla Costituzione, non soltanto avallando vergognose leggi a garanzia degli interessi di Berlusconi, dei suoi e non soltanto dei suoi (basti l’esempio dello scudo fiscale, caso tutt’altro che limpido di condivisione tra più partiti) ma, cosa anche più grave, intervenendo nella stessa fase di formazione delle leggi suggerendo, orientando, concordando. In poche parole, Napolitano ha interpretato il suo ruolo forzandolo. Seguendo questa scia, è poi arrivato al commissariamento dei partiti e del paese, senz’altro eterodiretto e favorito non dalla debolezza dei partiti stessi (come vorrebbero farci credere) ma da una loro metamorfosi in comitati d’affari ormai giunta a pieno compimento. Quegli stessi partiti che ci hanno fatto precipitare in una crisi spaventosa mettendo al centro i loro affari oggi chiedono al “loro” Presidente la garanzia di poter continuare a essere quello che sono e a fare quello che finora hanno sempre fatto. E intanto seminano morti: si ammazzano imprenditori senza speranze ed esodati mentre, guarda caso, volano giù dai palazzi manager di banche (vi dice niente il Monte dei Paschi di Siena?). Complici i sistemi d’informazione, silenziosi sugli scandali e roboanti in difesa di affari di cui sono più o meno direttamente parte. E complice la stragrande maggioranza della popolazione italiana, in parte drogata dai media, in parte sfinita dalla crisi e in parte (e questa è la componente più micidiale) legata alla posizione che ricopre nella piramide dei favori, delle carriere, dei ricatti. Siamo ormai un paese in liquidazione e quella piramide sta diventando sempre più verticale e feroce, perché da una parte la torta da spartirsi diminuisce e dall’altra aumenta l’interesse a diventarne liquidatori, svendendo pezzi a destra e manca in cambio di qualche tornaconto. Questa, in soldoni, sarà l’agenda del prossimo governo, da concordare con (o da derivare da) una superentità europea finanziaria e basta, che stringerà il cappio attorno ai paesi senza badare troppo né alla sopravvivenza delle popolazioni né alla loro libertà. Quell’agenda sarà ben salda in mano a un Presidente della Repubblica con poteri ben superiori a quelli che la Costituzione gli conferisce, e a chi lui stesso sceglierà (o avrà già scelto) come Presidente del Consiglio. Tutto ciò avverrà imponendo ai partiti quel commissariamento già in atto fin dal governo Monti, poi proseguito con la trovata dei dieci saggi ed ora con quest’ultima investitura quasi regale (il fantasma di re Umberto rincorre Napolitano potrebbe dirsi fin dalla nascita), così tanto suggestiva e commovente per molti degli italiani, convinti di essere nelle mani di un buon patriarca che farà di tutto per salvarli. E per salvarsi, distruggendo anche l’agenda per non lasciarne prove, se ci sarà bisogno. Quell’agenda, tra l’altro, non sarà certo rossa (come quella di Borsellino ucciso dalla mafia o come quella di tanti comunisti emarginati e distrutti dalle magnifiche sorti miglioriste del Napolitano che fu e dei suoi amici) ma nera come la Lega dei fucili di Bossi e come l’eversione piduista e berlusconiana che siede in Parlamento, abbracciata qualche giorno fa da Bersani in favore di telecamere, in uno slancio di sincera dimostrazione di quel che è stato il suo, il loro, il nostro ultimo Ventennio. E si permettono pure, questi, di dare lezioni di democrazia a Beppe Grillo e al Movimento Cinque Stelle, costretti pure a correggersi se parlano di golpe. Certo, un golpe tecnicamente inteso potrà anche essere un’altra cosa, ma allora ce la trovino loro una parola che definisca la distruzione della democrazia che vanno perfezionando, la trovino loro una parola che li descriva. Magari più moderna ed elegante, magari più educata, magari più originale e aggiornata di “gerarca”.
Si avvicina il 25 aprile e ho tanto bisogno di una nuova Liberazione. Il mio antifascismo, che non ha mai avuto casa, ogni anno si rinnova nel suo nomadismo, anche per esorcizzare il vuoto e i pericoli di ora e di domani. Mi è capitato di fare il 25 aprile un po’ dovunque, a volte con gli anarchici, a volte con i centri sociali o con gli studenti, a volte addirittura in qualche paese di destra dove la banda cittadina non poteva nemmeno suonare Bella ciao. Che si è cantata lo stesso, magari più forte. In questi giorni, però, si è proprio passato il segno.  Così ho deciso che il 25 aprile sarò in corteo a Parma, chissà che lì non mi senta un po’ meglio.

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