Stanza numero otto

Quello stringersi insieme
nelle scampagnate estive
il parlare accessorio e la scarpata
oltre il recinto di legni
cosa portavano al cuore
dal contorno di pelle
e di abiti leggeri

un respiro che torna all’inizio:

dietro la casa anni cinquanta
un riporto di terra confinato
da muri di cemento, bassi

la campagna è più oltre
nel mezzo un convento solitario
ci faceva da meta,
oggi tanti palazzi

pasticciavo la terra con le mani
e con l’acqua
poi correvo fino al marciapiede
davanti, tra le aiuole
perché bella di notte si chiama
quel fiore un po’ più osceno
della viola mammola? non piaceva
a mio padre
male è tenere fiori in un recinto,
contratti nell’oscuro e soli
soli anche di giorno
troppo aperti alla luce

che bambine curiose oltre il
comune pudore, sognarsi in fuga
con l’amico più grande fin dentro
la fortezza cappuccina
lungo il suo corridoio un rumore
di biglie rotolate fino alla sponda
ultima, dove tutto finisce (1996)

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Accade oggi

Spero tanto che oggi la Cassazione annulli la sentenza di condanna per dieci manifestanti anti-G8 che undici anni fa a Genova rimasero coinvolti in disordini dalla regia molto sospetta. Per alcuni danni alle cose e non alle persone, perseguiti dai postumi del codice penale fascista per “devastazione e saccheggio”, rischiano in media dieci anni di carcere a testa.

Innanzituto ci si domanda come il principio di giustizia della pena commisurata al danno venga salvaguardato in un caso simile. Né si può ignorare che addetti all’ordine pubblico, condannati qualche giorno fa in Cassazione per il massacro dei manifestanti alla scuola Diaz (uno dei vari teatri genovesi delle violenze di stato del 2001), non sconteranno nemmeno un giorno di carcere.

La pratica della giustizia produce abnormità, specie quando accoglie influenze e pressioni. Con riferimento alla sentenza di oggi, esse potrebbero indurre a una pena esemplare per i manifestanti, anche a compensazione della avvenuta condanna delle forze dell’ordine, per niente usuale e vissuta come una sorta di lesa maestà.

Eppure quei dieci manifestanti sono oggi, di fatto, gli unici capri espiatori di una degenerazione dei poteri pubblici per niente limpida e anche poco indagata. Mai si smetterà di ripetere che chi aveva la responsabilità dell’ordine pubblico a Genova mirò scientemente a produrre disordini, colpendo con violenza e dovunque persone pacifiche e favorendo infiltrazioni diffuse. In vari filmati, per fortuna sfuggiti alla distruzione delle prove da parte delle forze dell’ordine, appaiono sedicenti black bloc “devastare e saccheggiare” sotto gli occhi della polizia con cui, in certi casi, conversano anche. Chi erano quei personaggi? A chi rispondevano del loro comportamento? O meglio, da chi prendevano ordini e istruzioni?

Sono convinta che chiunque a Genova, anche la persona più pacifica del mondo, trovandosi dentro una gestione pubblica del genere avrebbe potuto reagire: per legittima difesa, per paura, per esasperazione, oppure per riaffermare, in forma distorta a causa di una regia superiore distorta, un diritto a manifestare prima concesso e poi non garantito, anzi annientato con una potenza di fuoco senza precedenti.

Sono anche convinta che si trattasse, in quei teatri, di una prova aperta di regime in grande stile, per provare fino a dove ci si poteva spingere, lì e dopo in tutto il paese.

Purtroppo temo che la sentenza di oggi, anche se in scala, possa diventare figlia dello stesso meccanismo, in uno scenario totalizzante per certi versi anche più pericoloso, perché riarticolato e rafforzato da una crisi che giustifica tutto, anche l’assenza di democrazia.

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Irriducibile

Gianni De Gennaro era capo di quelle forze di polizia ora condannate in Cassazione per le gravissime violenze alla scuola Diaz di Genova nel 2001. In undici anni, nonostante le pesanti responsabilità rilevate in primo grado e in appello, quelle forze di polizia hanno usufruito di promozioni così mirate da far pensare a una sorta di premio per il “lavoro”: ossa spaccate, organi spappolati, esiti comatosi che soltanto per caso (o forse per tecnicismo virtuoso) non sono diventati morte. A ciò si aggiunsero prove distrutte, depistaggi vari e un’agghiacciante catena di montaggio che trasferiva dalla Diaz all’ospedale e all’ultimo girone infernale, la caserma di Bolzaneto, persone riunitesi a Genova per discutere temi globali in dissenso con i potenti della terra.

Oggi De Gennaro è sorprendentemente (oppure no, dipende dai punti di vista) sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti, con la benedizione trasversale dei partiti che nulla hanno da eccepire. E proprio da Palazzo Chigi dirama una nota ufficiale in cui si legge, a sostegno dei condannati in Cassazione, di un suo sentimento di affetto e di umana solidarietà per quei funzionari di cui personalmente conosce il valore professionale. A parole così gravi meglio che risponda una vittima, per di più giornalista.

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