Il cromosoma della libertà

Il sistema democratico in Italia è in una grave crisi. Un’oligarchia barbara e trasversale esprime poteri e interessi fuori da ogni controllo, perché  le istituzioni della Repubblica sono state svuotate, forzando sistematicamente Parlamento e organi di giustizia. Il Capo dello stato è un portiere senza difesa, così come la Corte costituzionale. Costretti a parare sulla linea di porta, alcuni si prestano a consulenze preventive sul contenuto di atti che dovrebbero valutare soltanto a posteriori, in uno stile consociativo che ormai impasta tutti i settori della vita pubblica.

E’ capitato anche che il Capo dello stato, stavolta più arbitro che portiere, chiedendo di posticipare il voto di fiducia all’approvazione della legge di bilancio, abbia ridato tempo a un Presidente del consiglio in crisi. Quel tempo gli ha permesso di comprarsi (oltre a tutto il resto: tv, giornali, case editrici, giudici, avvocati, donne, ecc.) anche alcuni parlamentari e di oliare la macchina da guerra dei suoi avvocati legiferanti, per la battaglia che dovrà salvarlo dai processi imminenti. Ora verrà il peggio.

Intanto i cittadini non possono scegliere i propri rappresentanti né esprimersi nei referendum, e la democrazia  è pienamente sostituita dalla “mediocrazia”, potere dei media e della mediocrità.

Una democrazia vera avrebbe reagito molto prima, non si sarebbe ridotta ad aspettare il 6 aprile (data di inizio di uno dei processi a carico del Presidente del consiglio) come se si trattasse del giorno della Liberazione. Non sarà un processo a liberare l’Italia, e se lo sarà, rappresenterà il fallimento gigantesco di un’intera classe politica oggi all’opposizione e di tutto il paese, incapaci entrambi di salvarsi da sé.

Tutto quello che serve per vivere una vita vera è ormai minato alla base: ambiente, salute, scuola, lavoro, assistenza, solidarietà sociale, informazione, cultura. E unità del paese, perché in un paese diviso si comanda e si lucra di più. Su queste macerie sarà mai possibile ricostruire?

E sperando in cosa? In una miracolosa unificazione di opposizioni che nemmeno riescono a rappresentare, degnamente e unitariamente, le loro singole componenti? In un ruolo politico più forte e compatto sul territorio, quando si è fatto di tutto per limitare i poteri delle assemblee consiliari e per aumentare il decisionismo, spesso affaristico, degli amministratori locali?

Del resto, tenere lontani i cittadini dai diritti fa comodo a tutte le oligarchie, di maggioranza e di minoranza, perché il dare a pochi oltre a se stessi non richiede  particolare impegno e capacità. E torna utile soprattutto in periodi di crisi economica, nei quali la torta da spartire si riduce e la selezione per averne una parte si fa più aggressiva.

Si può forse sperare nel risveglio degli intellettuali e degli artisti, che al di là di qualche solista si guardano bene dall’esporsi e, quando lo fanno, non sempre si rimboccano le maniche per lavorare con gli altri?

Non sono presenti nelle egemonie attuali né il cromosoma della dignità umana né quello dell’azione collettiva, entrambi necessari per costruire una comunità sociale attiva, alternativa a un regime che ci vorrebbe vuoti e inerti.

Da qualche parte, però, quei cromosomi ci sono, vengono da una tradizione  generosa, coraggiosa e illuminata, capace di sogni impossibili e di sacrifici per realizzarli: l’unità d’Italia, la Liberazione, la democrazia…

Quei cromosomi sono poi in individui e movimenti, magari sconosciuti ai più, che fanno ogni giorno scelte scomode e coerenti con gli ideali di dignità e libertà, personale e collettiva.

E vengono anche da più lontano, oggi dal nord Africa e dal Medio oriente, e domani chissà: perché il cromosoma della libertà è uguale dovunque, in Libia e in Egitto come in Italia, dalla Lombardia alla Sicilia.

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In memoria di un attore

Ulrich Mühe era un grande attore. La parte protagonista nel film “Le vite degli altri” è il suo testamento, per il contenuto autobiografico, per la morte prematura e soprattutto per lo spessore dell’interpretazione.  Mühe ha recitato con il corpo e con ogni minima parte del viso come soltanto un bravo attore di teatro saprebbe fare. E fino in fondo, fino al battito di ciglia della scena finale, fino all’ultima battuta: “No, questo è per me”.  Ecco, questo post è per lui.

Alcuni giorni fa un gruppo universitario milanese, che sembrerebbe far capo a Comunione e liberazione, ha esposto davanti alla Cattolica una locandina del film “Le vite degli altri” taroccata: la famosa immagine di Mühe era stata sostituita con quella di Bruti Liberati, procuratore capo che sta indagando sul Presidente del Consiglio. Del resto, come ci si può aspettare rispetto per un attore da chi non rispetta nemmeno un magistrato…

Accade infatti che “Le vite degli altri” venga citato dai governativi italiani per insinuare parallelismi negativi tra le indagini in corso e  i metodi dell’ex DDR, di cui il film parla. Si cerca così di depistare l’attenzione, manipolare l’informazione e magari anche minacciare. Il Presidente del Consiglio dice “Se cominciamo a entrare noi nelle vite degli altri…”, dimenticando che ha già cominciato, e da un pezzo. Ad esempio con l’uso proprietario e massiccio  dei media, arma da rivolgere contro chiunque non sia dalla sua parte. Tra dossieraggio e spionaggio c’è forse qualche differenza? Se lo domandasse all’amico Putin, forse gli risponderebbe di no.

Mühe era un grande attore, e Le vite degli altri è un gran film. Donnersmarck lo ha scritto e diretto con una cura straordinaria. E’ lui stesso a parlare instancabilmente delle grandi e delle piccole scelte, delle ambientazioni e dei dettagli, in un commento fiume alle scene inserito tra i contenuti speciali del dvd.  Vale la pena di seguirlo passo passo, perché è un esempio di critica cinematografica pura a cui, purtroppo, non siamo più abituati.

Dopo qualche anno ho rivisto il film, qualche sera fa. Non in tv, perché ho scelto di non averla, ma liberamente, fermando alcune immagini e ripetendo alcune sequenze. Ho osservato con occhi ancora più inquieti il personaggio del Ministro della Cultura, per l’analogia (quella sì obiettiva) con il potere esercitato in Italia sul corpo delle donne. E sulle attività intellettuali e artistiche, che invece chiedono, per loro stessa natura, di essere esercitate al di fuori di ogni condizionamento.

E poi ho rivisto lui, Ulrich Mühe, nella parte di un uomo  inserito nel sistema ma capace  alla fine di una scelta giusta, pagata a caro prezzo. La trasformazione del suo personaggio, combattuta ma graduale e coerente, è uno sforzo umano enorme, tutto concentrato su se stesso, che via via prende forma nei cambiamenti anche minimi di postura e nelle variazioni anche impercettibili dell’espressività del viso. Un grande lavoro, davvero, e il lavoro dell’attore merita sempre rispetto.

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Le vie brevi

Quasi trent’anni di lavoro nel settore pubblico rappresentano un’esperienza sufficiente e diretta di alcune tendenze, a partire da quella di evitare responsabilità, anche se previste dai ruoli. Questi spesso si disperdono in un gioco di sovrapposizioni, sostituzioni o funzioni parallele mai formalmente attribuite, ma esercitate in virtù di un sistema (di connessioni politiche, amministrative, imprenditoriali, o anche strettamente private) che, per garantirsi, le favorisce e le sostiene.

La cultura dell’azione amministrativa come precondizione e strumento di iniziativa a favore dei cittadini è in disuso, e l’atto scritto che la rappresenta un’opzione desueta, perché implica impegni e possibilità di controllo.

L’atto torna a essere utile e utilizzato se serve o per giustificare ostacoli e impedimenti nei confronti di chi è in diritto di essere garantito o per garantire chi non ne è in diritto. E’ lì che s’innesta il potere anche partitico degli apparati pubblici, solidali con quelli privati ad essi più vicini, con l’esclusione automatica di chi si riconosce in una posizione paritaria e legalitaria e non di dipendenza.

Carenze professionali, umane, relazionali, coperte da comportamenti egocentrici e unite a rendite di posizione, completano uno stile gestionale dalle cosiddette vie brevi, rozze semplificazioni e imposizioni che ignorano la qualità organizzativa ed esaltano la pratica della convenienza, del ricatto e della contropartita.

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