Una neve perfetta: racconto

Appena dopo la sua nascita la neve smise di cadere. Il sole era coperto da una volta compatta di nuvole d’un grigio chiarissimo e lì dov’era, nel punto più alto del cielo, il grigio diventava bianco così luminoso da non poterlo guardare. La tregua era giunta inattesa, come il parto, anticipato e veloce, annunciato da un solo vagito breve nel silenzio ovattato della casa. Così la madre consegnò al giorno sua figlia, e le sembrò una fortuna. La notte era stata lunga, senza luna, senza nemmeno un chiarore, e aprirsi alla luce fu per lei una liberazione.
La bambina crebbe come crescevano i figli in quell’angolo stretto di valle: con pochi cibi, pochi gesti, un amore essenziale e ruvido, sempre incombente, come i profili grezzi delle montagne. La neve d’inverno era dovunque, e lei ci viveva insieme imparando a osservarla. Riconosceva le infinite combinazioni di ghiaccio e pioggia, i tentativi non riusciti di una neve perfetta, fatta di fiocchi grandi, morbidi, sospesi nell’aria in assenza di vento. Quando, raramente, la perfezione si realizzava, la sua incredulità diventava certezza nella riproduzione di ogni dettaglio: lei disegnava la neve così come le sembrava, fitti aghi bianchi intorno a un cuore minuscolo, invisibile come il sole della sua nascita, come un’energia sfuggente. Riempiva fogli interi con la stessa cifra, ripetuta con pazienza e convinzione. Quella era l’unica neve che sognava e voleva.
Il resto era disordine del cielo e dei venti, che insidiava piccoli e grandi equilibri: un sentiero battuto diretto all’alpeggio, un ruscello immobile nel ghiaccio, un giorno di limpidezza assoluta, dalle cime più alte fino alle case. Bastava poco a confondere la direzione del vento, a smuovere le acque, a scombinare il disegno di una natura coerente.
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Ultime dai Palazzi

In barba alla legalità, questo Governo ha già perso un sottosegretario (dimessosi per benefici ricevuti da un imprenditore coinvolto in appalti illeciti), mentre un suo ministro è sotto inchiesta per una compravendita sospetta.

In barba ai ventisei milioni di voti nel referendum sul legittimo impedimento e per l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, il Parlamento ha negato l’autorizzazione all’arresto di un deputato indagato per collusione con la camorra.

In barba al milione e duecentomila firme per l’abrogazione di una legge elettorale vergognosa, che nemmeno ci fa scegliere i rappresentanti, la Corte Costituzionale ha detto no.

In barba al risultato schiacciante del referendum contro la privatizzazione dell’acqua, il Governo ha in cantiere un decreto sulle liberalizzazioni che andrebbe in direzione opposta.

E in barba allo Statuto dei lavoratori, lo stesso decreto prevederebbe il reintegro dei licenziati ingiustamente soltanto in aziende con più di 50 dipendenti (e non 15, come finora previsto).

Con il ricatto della crisi e del peggio berlusconiano il Governo ci sta togliendo pezzi di vita (salari, pensioni, democrazia, diritti), con l’appoggio acritico di un Parlamento solidale e di un Presidente della Repubblica che tesse nel retrobottega, andando ben oltre le sue prerogative. E dire che c’è chi li osanna, lui e il Presidente del Consiglio, come fossero i nuovi salvatori della patria. E chi discetta sulla “qualità” della democrazia: come se la democrazia possa graduarsi senza rischiare se stessa.

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Non più di un anno: racconto

La notte era fredda e la pioggia che tormentava il lucernario del bagno lo costrinse a scendere dal letto. Chiuse la porta che separava la camera dalle scale che scendevano in cucina. Altro non c’era in quella casa nel vicolo stretto, costruita forse da un pescatore con le sue stesse mani, insieme a barca e reti. A lui piaceva immaginarselo con la barca a un passo dalla casa, ormeggiata sul lato del canale più vicino. Con le partenze, dalla cucina intiepidita dal fornello fino al distendersi del vento sul mare aperto, e poi i ritorni, semplici rotte da seguire ogni giorno per conservare casa e pesca.
Si alzò presto e passò le dita sullo strato di vapore che proteggeva la finestra. Era senza persiane e si lasciava attraversare da tutto, dai rumori della strada, dal sibilo dei treni, da una campana che batteva tutte le ore.
Da lì vedeva, di traverso, il canale che dalla città si spingeva fino al porto.
A volte la finestra era lui, i suoi occhi, la sua attenzione. Come in quel momento, con le dita che si accanivano sul vapore che si riformava in fretta. Fuori era ancora buio, e oltre l’acqua scura del canale, dietro i lampioni in fila, si scorgevano le facciate delle case appoggiate una all’altra, differenti soltanto nel colore.
Tutte hanno persiane, pensò, persiane ben chiuse. Fra me e loro che ci abitano, e dormono ancora, forse questa è la differenza.
Sul retro delle case c’erano piccoli giardini, e davanti alberi. Affiancati ai lampioni, di notte ne erano l’ombra, una traccia viva del buio. Ritornavano in luce col salire del giorno, insieme alle due rive così differenti: giardini e colori oltre il canale e, all’opposto, vicoli stretti, conficcati sul fianco della strada fino al porto. Lì c’era tutto quello che serviva ma niente di più: facciate di mattone vecchio, poche finestre, un piccolo marciapiede tra la strada e le case, un faro.
Aveva visto fari di ogni tipo, piccoli e grandi, grezzi o protetti da una calce candida. Quando una nostalgia sorda gli cresceva dentro e non sapeva come curarla, si sforzava di ricordarne i particolari. Non era facile, le immagini si sovrapponevano perdendo contorni e riferimenti a luoghi precisi. Una lampada enorme dentro una gabbia di ferro arrugginito gli aveva tenuto compagnia per tante notti, con una luce densa che andava e veniva e consolava di una luna spesso assente, coperta da nuvole scure. Ma com’era il suo sostegno, di pietra o di mattone, di smalto vivo o corroso dal vento, e soprattutto: in quale luogo si trovava, quale lingua parlava il guardiano?
La memoria è salvezza, pensava, sollievo alla solitudine, un filo di senso che collega i giorni, ma è pure il coraggio di guardare dritto al passato e di soffrirne la perdita.
Lui aveva poco coraggio, ma quel poco gli bastava per partire ogni volta, per combattere la paura di restare. Per questo si teneva dentro il presente e poco altro, le immagini recenti, i mutamenti di poche stagioni.
– Non più di un anno e sarò via da qui. Quattro stagioni e basta, niente che si ripeta… Continua a leggere

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